11.7.10
Frammenti di vita quotidiana: Sarajevo
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9.7.10
Frammenti di vita quotidiana: Sderot, Israele
A Sderot, a meno di un chilometro dalla Striscia di Gaza e ad un’oretta di macchina da Tel Aviv o Gerusalemme, viene nostalgia del traffico, di quella spensierata frenesia quotidiana che si respira nella Vecchia Europa o nel Nuovo Continente. Il rumore snervante dei clacson e dei motorini con la marmitta scassata qui ha lasciato il passo ad un suono penetrante, improvviso, ogni volta imprevisto e imprevedibile. Un suono che inonda tutta la vallata e i territori circostanti, fa salire freddi brividi lungo la schiena. Preannuncia una pioggia di missili lanciati contro i civili impegnati a vivere, dormire, portare i figli a scuola, fare la spesa. Sderot è una piccola cittadina di emigranti, quasi tutti di religione ebraica, giunti in Israele alla ricerca di un luogo sicuro, molti provengono dall’ex Unione Sovietica e sono arrivati con l’ondata migratoria degli anni ’90. La loro vita ora è scandita dall’allarme rosso, il suono che riempie il Negev, lanciato dal sistema di rilevamento ‘Alba Rossa’. Lo stomaco si stringe in un pugno di nervi e istinto di sopravvivenza. Comincio a contare: [1] Migliaia di gambe e occhi corrono, si nascondono, cercano rifugio, migliaia di cuori battono all’unisono in un’ordinata fuga verso la vita. Il pericolo maggiore è aggirarsi per le strade in macchina, inutile dire che è difficile vedere biciclette, tricicli o pattini a rotelle in questo angolo di mondo. [2] L’attacco arriva improvviso. I missili non sono ‘intelligenti’, fanno parte di quello che, con una buona dose di cinismo, si potrebbe definire ‘artigianato locale’. Per lo più si tratta di kassam - tubi di ferro lunghi poco più di un metro, con un diametro di circa 10 cm e uno spessore di non più di 3 [3] cm, quattro ali saldate evidentemente a mano con una saldatrice comune, una di quelle per il bricolage va benissimo. La struttura non garantisce una stabilità di volo, non si può prevedere dove andranno a colpire, per cui vengono riempiti con tutto quello che si ha sottomano, chiodi, bulloni, ferraglia [4] molta sabbia e un po’ di polvere da sparo. Quando esplodono non colpiscono un bersaglio ma si sparpagliano in tanti frammenti in modo da ferire il numero maggiore di civili. Una donna con jeans, polo bianca, occhiali griffati e scarpe comode sta accompagnando un gruppo di bambini di diverse nazionalità [5] alla fermata dell’autobus. I kassam vengono lanciati principalmente la mattina, tanto per mantenere vivi quei frammenti di memoria di normalità. Il ricordo delle corse per arrivare in tempo a scuola o in ufficio riaffiora inevitabilmente alla mente. La fermata dell’autobus è un luogo sicuro, un rifugio [6] dove correre per ripararsi dalla pioggia di missili dopo aver sentito un potente tuono che scuote famiglie intere dal torpore del tran tran quotidiano. Il rischio è che uno di quei pezzi di ferraglia raggiunga un organo vitale [7] o magari non vitale, un occhio, una gamba, la milza. Meglio affrettarsi. Una rete di controllo capta i missili al momento del lancio e la sirena fa scattare gli oltre 20.000 abitanti della cittadina poco lontana da Gaza a qualunque ora del giorno e della notte. Comunque, [8] non c’è traffico. I bambini non parlano, sanno di cosa si tratta, non fanno domande, attraversano la strada. Non [9] comprendono bene ma conoscono quella plumbea sensazione di pericolo che appesantisce l’aria. E sanno che non c’è tempo per le domande e per i capricci. A pochi ma lunghissimi metri nel centro ricreativo, qualcosa di simile ad una bocciofila-bunker, il personale addetto ha già avviato al rifugio interno pressoché tutti gli [10] anziani. Molti di loro sono sopravvissuti alla Shoa, hanno una gran voglia di vivere. Troppo lontano, per lo meno dieci metri. Per il piccolo rifugio alla fermata dell’autobus non c’è problema, pochi passi ancora. Proprio qui a Sderot c’è uno dei centri più importanti per la cura dei traumi psicologici [11] causati dalla guerra e dal terrorismo. Gli esperti del centro aiutano anche altre realtà nel mondo, luoghi in cui genocidi e guerre hanno devastato la stabilità mentale delle vittime, o meglio di chi è sopravvissuto, magari al proprio figlio. Un pensiero alle persone care, agli amici, alla famiglia. Le [12] strade sono deserte l’allarme riempie il vuoto assordante della mancanza di rumori della quotidianità. La voglia di vivere si trasforma in disperato istinto di sopravvivenza. Nell’Ipod della ragazzina in attesa di entrare nel rifugio, le note rock melodiche Mabul Heavy - Rain (pioggia pesante) di Keren [13] Peles si scontrano con l’assordante suono dell’allarme rosso. La locandina del concerto troneggia nel diario rosa. ‘Appuntamento a Sderock, We’ll Rock you in the Red Zone’, c’è scritto in inglese. L’indirizzo non è riportato ma qui lo conoscono tutti, è nel club bunker. L’inconfondibile porticina verde [14] da cui si viene catapultati come Alice nel Paese delle Meraviglie nella scena sotterranea, underground, della cultura israeliana. Un posto tranquillo, completamente anti-missile, l’unica scocciatura è entrare e uscire dal locale. Bisogna organizzarsi in modo da non creare file all’esterno. ‘Domani sera [15] che mi metto?’ sembra pensare l’adolescente annoiata mentre la voce di Keren Peles si disperde. I missili si avvicinano, inesorabilmente pronti a colpire. La donna conta i bambini nel rifugio, ci sono tutti? Gli anziani sono abituati a mettersi in salvo, collaborano attivamente con il personale. Sedici [16] lunghissimi secondi tra il suono dell’allarme e l’arrivo della pioggia di kassam. L’esplosione scuote i nervi, riempiendo l’aria di proiettili fai-da-te, rabbia e odio. A volte seguono le urla strazianti e la piacevole sensazione di essere ancora vivi diventa senso di colpa per chi, forse, non c’è più.
©©Valentina Cosimati
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29.4.10
autobus romani: i pendolari esperti
I passeggeri delle oltre seimilacinquecento linee di autobus urbani a Roma, senza contare i tram, i trenini metropolitani, i treni regionali e la metro, costituiscono un vero e proprio microcosmo all'interno della città che racchiude due stati e mezzo. La prima, fondamentale distinzione è tra pendolari ed esperti e neofiti e turisti.
I pendolari prendono l'autobus nei giorni lavorativi in orari ben definiti, utilizzano percorsi calcolati con precisione assoluta e hanno studiato opzioni di riserva pronte all'uso nel caso di imprevisti effettivi, che non includono ovviamente le manifestazioni laiche e religiose e i grandi eventi sportivi che si avvicendano nel centro cittadino a giorni alterni con picchi di cinque o sei sul medesimo percorso della stessa linea.
Il pendolare si riconosce grazie alle straordinarie capacità di individuare e intercettare i sedili liberi o in procinto di liberarsi, di essere sempre fornito di qualunque giornale freepress sia presente su piazza, e dall'armamentario di oggetti all'apparenza innocui che trasporta con sé trasformandoli all'occorrenza in veri e propri utensili di sopravvivenza urbana.
Il pendolare sa captare il passeggero sprovveduto e, in fermata, è capace di scoraggiare chiunque a salire sull'autobus su cui intende viaggiare con spiegazioni, inganni, ipnosi e azioni di trasformismo. Il pendolare esperto è organizzato e coalizzato, ad ogni fermata è possibile individuarne esemplari dall'aria innocua muniti in realtà di perfide strategie di dissimulazione. Camaleontico, si mimetizza tra i neofiti, trarrebbe in inganno anche Hercule Poirot, si assottiglia nel cono d'ombra del tabellone con le indicazioni sulle linee notturne che a quell'ora neanche un turista consulterebbe, scambia messaggi sms con i pendolari delle fermate precedenti e successive in una sequenza ispirata a tam tam dei nativi americani, tanto precisa che la NASA sta cercando di studiarne il funzionamento e gli orologiai svizzeri tarano i meccanismi perfetti delle loro creazioni sul ritmo sequenziale delle vibrazioni dei telefonini, semplicemente per controllare ed eventualmente agire sul livello di affollamento della vettura. Nel caso, infatti, di un numero eccessivo di passeggeri, parte la prima raffica di sms con conseguenti azioni performative urbane, antesignane dei moderni flashmob, in cui si inscena la teatralità più profonda della società italiana.
Un fasullo sciopero improvviso dei pulitori delle vetture che non è stato segnalato dal notiziario, a volte i neofiti li consultano prima di decidere di utilizzare gli autobus di linea, perché non organizzato a livello nazionale ma soltanto circoscrizionale indi ragion per cui è assolutamente sconsigliabile aspettare quella linea di bus che tanto non passerà perché in partenza dal capolinea nella circoscrizione in cui c'è lo sciopero dei pulitori e quindi da lì non partono, meglio, decisamente meglio, fare qualche metro a piedi e dirigersi verso la vicina linea di tram che porterà alla metropolitana certamente più veloce.
Una manifestazione che cambierà il percorso 'dove deve andare lei?' chiede il pendolare con fintissima compassione al neofita ignaro e già un po' preoccupato, 'ah e non vorrà mica prendere il 110/95???' All'ignaro si disegna un punto interrogativo sul volto, segno inequivocabile che il gancio potrebbe funzionare, 'no glielo dico perché oggi fa un percorso diverso, e infatti io non lo prendo mai perché fa un'altra strada ma oggi mi ha telefonato la suocera della cugina del fioraio che abita accanto alla portinaia dello stabile del figlio del panettiere che ch'a un cognato che lavora accanto all'ottico della maestra dei nipoti della signora Lia che ha incontrato il fruttarolo dove mi madre è andata a comprare la cicoria stammatina presto che così la serve meglio e che gli ha detto che oggi dovevo andare alla società dei telefoni a sbloccare il cellulare della figlia dell'amico del nipote del preside della scuola dove va mia nuora perché un compagnuccio gli ha diggitato non so quale codice sulla tastiera e co' ste tecnologgie moderne fanno certi macelli ogni volta ma siccome m'aveva fatto un favore con i morsetti della batteria allora mi tocca andarci a me, e prendo il 110/95 che proprio oggi per una manifestazione dei lavoratori dell'aeroplumeggiamento farà un'altra strada'.
Il neofita è ormai stordito, preoccupato e allarmato per le possibili conseguenze di una variazione nel percorso del bus, la sfilza di parentele e amicizie lo ha fatto cadere nella trappola del pendolare camuffato da utilizzatore casuale di autobus e di una linea pergiunta neanche nel suo tragitto, l'aeroplumeggiamento è parola abbastanza complicata, soprattutto se 'biascicata', smozzicata tra le altre tanto da risultare non inventata bensì mal compresa, ed è pronto ad ascoltare con occhi e orecchie. 'Eh no, guardi le conviene fare un dieci metri a piedi, prende il tranve e poi la metro ché se prende questo 'ndo va? la porta da 'n'altra parte eh non j'è comodo, no je conviene de prende il tranve lì a una decina di metri e poi chiede me pare che forse va verso la metro ma non lo so per certo perché non so tanto pratico cogli auti, sì je conviene chiede quando arriva alla fermata del tranve, e sì, per fortuna che m'ha 'ncontrato e j'ho chiesto 'nd'annava che sennò chissà che giro faceva che poi co 'sto traffico....buonagiornata, prego, prego, arrivederci, ma se figuri, se non s'aiutamo tra noi cittadini, eh sì a Roma se sa, buonaggiornata'. Quando il neofita arriverà alla fermata del tram ovviamente l'autobus in questione sarà già ripartito e il pendolare mimetizzato al sicuro nel suo percorso quotidiano.
La dilatazione dei corpi all'interno della vettura nelle prime fermate è un altro dato essenziale per la riuscita dei vari piani di dissuasione e consiste nella capacità di creare una sorta di cordolo umano in punti strategici quali le portiere, il vetro anteriore vicino all'autista e il vetro posteriore per dare la sensazione della pienezza. Qui il pendolare sciorina i suoi utensili di sopravvivenza urbana con composizioni artistiche di borse, giacche e cappelli che, opportunamente sistemate con sapienza acquisita nel tempo, accrescono l'effetto visivo modello sardine che farebbe passare la voglia di entrare nell'abitacolo anche ai turisti più determinati muniti di teste d'ariete, campioni di rugby della contea e guide multilingue per controllare i refusi, i pendolari hanno qualche anno di esperienza sulle spalle e vari centimetri di tacco in più sotto le scarpe rispetto ai forzuti e corporativi studenti.
Il pendolare esperto è accessoriato con giornaletti freepress, libri da leggere in piedi, libri da leggere comodamente seduti sul sedile preferito, libri da leggere all'andata e libri da leggere al ritorno in caso di nervosismo o impreviste gratificazioni, completo per maglieria con ferri di varie numerazioni, gomitoli, portagomitoli da viaggio, borse a tracolla con leggio cartamodelli portatile, thermos di caffè e cappuccini caldi o freddi in base alla stagione, giacche e cappelli per il mimetismo urbano e le simulazioni scatola di sardina, trousse per trucco e parrucco, giornali acquistati non tanto in base alle preferenze politiche quanto bensì alle coordinate sedile-linea di autobus-corrimano e quindi variabili in base al percorso, bottigliette d'acqua e un numero non inferiore a due telefonini, di cui uno in dotazione dalla compagnia di trasporti al secondo abbonamento annuale e l'altro privato, alcuni hanno anche quello aziendale. Il tutto stipato in borse casuali e all'apparenza, ma attenzione che le apparenze ingannano, normali per dimensioni e forma.
©© Valentina Cosimati
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27.4.10
piedi nella sabbia
Metropolitana, passaggio sotterraneo nello spazio tempo , linguaggi differenti si intrecciano a creare una trama leggera. Volti illuminati da raggi artificiali, microcosmi in movimento.
Conto le fermate, non ho molto tempo, una voce femminile da indicazioni nette, in altri paesi sposterebbe un gruppo unico di passeggeri a destra e a sinistra, qui aiuta a capire in quale direzione scattare un attimo prima dell'apertura delle porte, un po' come l'immancabile clacsonata dopo il verde.
Con un salto di milleottocento anni mi trovo dal Colosseo al Palazzaccio, da Vespasiano a Giolitti. Strade risorgimentali trafficate da professionisti delle immagini, principi del foro, pellegrini e piccoli borghesi affaccendati a trascinare preoccupazioni e borse cariche di pratiche e documenti.
Nella sala dei frammenti di memoria si incontrano umanità differenti, frotte o gruppetti di intellettuali stranieri si avventurano alla scoperta di immaginari che li aiutino a comprendere una realtà in cui vivono senza sapere cosa aspettarsi, forse ricercano un momento di familiarità, le cene con gli amici, i film guardati sorseggiando una tisana o un bicchiere di vino italiano. Proiezioni di paesi e mondi in cui si progetta di andare e poi, trovandosi proprio lì, si cerca di ritrovare quelle emozioni nel cinema ideato da un sognatore che ha costruito il suo piccolo cosmo con i sedili di un aereo illuminato da polvere di stelle di pellicole fabbricate nel mondo della fantasia.
Il trenino verso il mare partirà tra venti minuti, meglio sbrigarsi. Un passaggio in moto, svicolamenti feroci tra ali di traffico ed eccomi alla stazione accanto alla piramide ingrigita dall'inquinamento, un souvenir del dialogo tra le genti del Mediterraneo ben precedente le torri gemelle.
Rumori minimalisti, tornelli di metallo, monete nelle macchinette per l'emissione dei biglietti, bip di riconoscimento degli abbonamenti, annunci di arrivi e partenze, si innestano con espressioni di romanità, saluti urlati da un binario all'altro, informazioni sportive, veraci commenti politici. Uno zingaro arancione ha spostato lancette digitali, treccia grigia va a cercarlo per acciaccarlo con i suoi tacchi borchiati, rose rosse come lance. Il profumo inconfondibile della porchetta, rassicurante indicazione geografica. Telefonini, telecamere, buste della spesa e scatoloni si mescolano a segnali di urbanità. Giornali scritti in decine di lingue differenti chiacchierano tra loro, si guardano, si scrutano e cercano tra le righe notizie un po' originali, storie, emozioni da raccontare, cluster di mondi convergenti. Mani febbrili inviano messaggi, brandelli di memorie si attivano, immagini di mari lontani si mescolano a parole sussurrate nei microfoni connessi alla compagnia telefonica più conveniente, quella giusta per le tue esigenze. Pubblicità e suoni sintetici si inseriscono nei sogni, sempre più nitidi momenti di vissuto. Televisioni in movimento, da un momento all'altro sembra volersi materializzare una coreografia bollywoodiana.
Frequenze di colori combattono campi elettromagnetici negativi o li amplificano fino a farli esplodere nello spazio etereo, in arcobaleni che verranno. Rumori e lamentele. Sciami di turisti incuriositi da palazzi e teatri millenari, colti studiosi e scolaresche si alternano sul treno. Ancora due fermate prima di poter immergere i miei piedi nella sabbia.
©© Valentina Cosimati
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26.4.10
noia contemporanea
guida programmi tv, niente di niente
radio, sempre le stesse voci
in giro, le solite cose
per strada, traffico
il cellulare, tace
videogiochi, naa
il telefono, a quest'ora?
libri, pagine da riempire, immaginazione zero
l'email, messaggi da leggere, spam e pubblicità
tra noi, parole non dette, silenzi futuri, assenze presenti
©© Valentina Cosimati
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23.4.10
autobus romani: autieri, autisti e conducenti
Il o la conducente dell'autobus a Roma si chiama autista o, per gli affezionati alla tradizione linguistica, autiere, e sì perché in un tempo remoto si trattava di mestiere maschile e quindi non esiste un sostantivo neutrale e rispettoso dell'identità di genere e del principio di eguaglianza per definire quello che nella città eterna, si chiama per l'appunto autista, o autiere, o ancora 'capoo' con due 'o'.
Capoo si utilizza generalmente per richieste in dialetto che prevedono ovviamente un comportamento dialettale, dalle fermate non segnalate all'aperura delle portiere per consentire il deflusso di un blob di persone sardine o per scastrare lo zainetto dell'adolescente di turno cui ha suonato sei volte la sveglia prima di riuscire ad alzarsi dal letto grazie alle proteste del vicinato, del cane del signor Nespo, delle scampanellate della signora Lia, degli uccellini, dei galli di campagna che avevano sentito anche loro e si sono recati in bella posta sotto la finestra dell'adolescente il cui zainetto si è incastrato nella portiera mentre con balzo felino da giaguaro raggiungeva il predellino del bus che lo avrebbe condotto a scuola, scatenando la classica richiesta “capoo.. cheapri ar centro che s'è 'ncastrato 'n pischello?”, con susseguente coro di commenti e ridda di aneddoti “Eh ma 'sti regazzini non si svegliano mai in orario” “Eh non è come ai miei tempi quando a piedi si doveva andare o al massimo col calessino” “Eh ma gli auti so' sempre pieni e poi capita che se 'ncastreno sempre 'sti regazzini” “Eh ma però è stato gentile a aprì che l'altro giorno un autista è partito co tutto'o zainetto de fora, è passato un motorino col sidecar (pronuncia sidecar o saidecar) e j'ha tranciato de netto il zainetto che oltre ai libbri ce stava pure un giornaletto de fumetti zozzi che uno dei fojji è annato a fini' contro er casco de 'n pizzardone in moto che pe' fortuna che stava imbottijjato ner traffico pure lui che sennno prima je sparecchiava a faccia e poi 'o portaveno pure 'n galera che io dico ma la madre e er padre 'ndo staveno?”.
L'etimologia di autiere non è così ben definita, ha poco a che fare con il corpo militare degli autieri e ho sempre pensato che fosse una parola macedonia tra cocchiere e conducente d'autobus, perché nonostante le mirabili unificazioni tariffarie, il conducente di tram continua ad essere appellato tramviere o tranviere, ovvero guidatore o conducente der tranve. D'altronde gli autobus a Roma fanno pensare vagamente alle diligenze, le carrozze a cavalli che attraversavano il far west nei film con indiani che cercano di assaltarle e cowboys che si lanciano a proteggerle, nei film americani, però, non negli spaghetti western di Sergio Leone e proseliti.
Gli assalti alla diligenza variano in base all'orario.
La mattina, nella fascia 'scolastica', gli indiani o i banditi sono le orde di turisti fai-da-te o dei gruppi di ammutinati che hanno preferito uscire dall'albergo un'oretta prima, nonostante gli avvertimenti di, in ordine sparso: guide turistiche tascabili in quindici lingue per confrontare i refusi, albergatori, camerieri, gestori di pensioni, autisti di pullman gran turismo, baristi, passanti, conoscenti e pure della signora Lia che, dopo aver svegliato il vicinato al quarto suono della sveglia del ragazzino a cui si è incastrato lo zaino e prima di annaffiare le piante che sennò quella del terrazzo di sotto capace che chiede la riunione di condominio pe' du' goccette d'acqua, si è recata personalmente in loco ad avvisare le orde di turisti che imperterriti hanno deciso di prendere il bus proprio in quella fascia oraria.
Come in tutte le diligenze che si rispettino esiste un servizio di sicurezza interno, niente a che vedere con i palestrati security in auricolari e doppiopetto che si aggirano davanti ai localini trendy o intorno alle auto blu di politici, sottosegretari, ministri, lacchè che ogni giorno sfrecciano a sirene spiegate tra gli imbottigliamenti quotidiani e gli improperi di automobilisti, pedoni e guardie notturne appena andate a dormire, sono piuttosto esempi di difesa corporativistica.
Gli studenti pendolari, infatti, di fronte all'assalto da parte delle orde di turisti, si dilatano, un po' anche per il gusto di contestare la prof di scienze che fa le interrogazioni a sorpresa. Contro qualunque legge della materia si esibiscono nel numero della fusione dei corpi che se li vedesse la prof dovrebbe chiedere la riscrittura del libro di testo; poi questo corpo unico fatto di occhialini, lettori musicali, versioni di latino scaricate da internet, sneakers, pettinature improbabili, zainetti costruiti apposta per incastrarsi fra le portiere degli auti (plurale di autobus), sogni, emozioni, testosterone, paure, illusioni, appunti copiati, e vite da scrivere, si dilata fino a strabordare. Una massa impenetrabile e tuttavia permeabile ai propri simili. Gli appartenenti alla categoria studentesca vengono selezionati dal corpo unico, riconosciuti come parte di quell'organismo vivente e portati dalla propria parte, ovvero fatti salire sul bus nonostante l'affollamento.
L'autiere si schiera dalla parte dei 'buoni' e cerca di fare gesti inequivocabili alle orde di turisti per poi aprire lentamente le porte seguendo il ritmo del corpo unico e consentire così una maggiore libertà di movimento al comitato per la sicurezza interna.
Le orde di turisti sono implacabili, devono raggiungere la località segnalata sulla mappa e non si faranno certamente fermare da un gruppuscolo di mocciosi. Si preparano all'assalto con una testa d'ariete, di solito un turista particolarmente panciuto campione in carica di rugby della contea che si lancia nella mischia con l'effetto di rimbalzare miseramente dopo vari respingimenti corporativi fino all'apertura di un varco tra gli zaini, gli occhialini, le sneakers, le emozioni e i sogni, o fino alla chiusura delle portiere con la complicità dell'Autiere Denominazione di Origine Controllata e Garantita (ADOCG).
Altra tecnica di assalto è quella in cui un turista minuscolo spalleggiato da energumeni allevati ad hamburger, ormoni, patatine fritte e latte vitaminizzato, cerca di forzare il blob con azioni atte a distrarre l'attenzione dei difensori della fascia oraria scolastica. Mentre gli energumeni spingono ai lati, la testa d'ariete del caso cerca di farsi strada tra calzettoni e jeans, spesso seguendo la traiettoria di uno studente individuato nel marasma e munito di apposito lasciapassare, l'inconfondibile zainetto.
Se la testa d'ariete riesce nell'intento, l'ADOCG chiude con scatto repentino le portiere lasciando a mezz'aria il malcapitato che si ritrova a svolgere l'ingrato compito di dissuadere gli scooter a passare a due centimetri dalle portiere in fase di apertura grazie al movimento frenetico a sforbiciata orizzontale delle gambe agitate fuori dal bus, mentre gli studenti utilizzano la parte superiore del turista in questione per una partita a scacchi tra una fermata e l'altra che tanto c'è traffico e l'attesa è lunga.
Ovviamente se un gruppetto di studenti dissidenti si trova a prendere il bus durante la fascia turistica può ben pensare che in fondo in fondo una passeggiatina a piedi ossigena i polmoni anche nella strada più trafficata e inquinata della città.
Al conducente, come ben specificato sul cartello apposto accanto alla cabina, non si deve parlare. Quando qualcuno chiede informazioni sul percorso, lui o lei non distoglie gli occhi dalla strada, accenna un sorrisino appena percettibile allo sguardo esperto dei passeggeri navigati e si esibisce in una serie di indicazioni fuorvianti che porteranno l'incauto questuante dalla parte opposta della città.
I guidatori sono una specie a parte. Abituati a risolvere all'istante problemi all'apparenza complessi, se fossero nominati consiglieri di amministrazione o statisti, gran parte degli scioperi e delle manifestazioni che a giorni alterni si materializzano per le vie della capitale sarebbero aboliti per la semplice ragione che i problemi sarebbero risolti nell'arco di validità di un biglietto integrato a tempo. Taciturni o chiacchieroni, accomodanti, scorbutici, piacioni, allegri, scordarelli, o fischiettatori,, per qualche incomprensibile ragione sono felici di vivere e non si stupiscono più di niente.
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21.4.10
Ricordo di un raggio di sole nel piovoso cuore delle Fiandre
La luce grigiognola illumina gli isolotti sull'Hollands Diep, frastagliati frammenti di terra emersa galleggiano nelle acque placide del grande fiume che dopo pochi metri si incontrerà con la dolce forza del Nordsee. Pianure ornate da piccole dighe si schiudono davanti ai nostri occhi, arcobaleni di tulipani preannunciano la tiepida primavera neerlandese, si può sentire il cinguettio allegro di stormi di branta leucopsis, l'anatra facciabianca che, narra la leggenda, viene generata direttamente dall'oceano o dai pini, e i richiami delle canapiglie, quando il ritmo calmo del treno rallenta fino a fermarsi per qualche istante, giusto per farci assaporare il tepore metallico del cielo. Pero ha un problema per noi quasi incomprensibile. Siamo arrivate nella moderna stazione Den Haag Holland Spoor e saluto la mia interlocutrice lasciandole per il momento il dubbio sulle sorti del mio amico, sempre meglio far fermentare un po' la curiosità, lei prosegue fino ad Amsterdam. Mi dirigo verso il rimessaggio custodito di bici, la pioggerellina è lieve e verticale, non quella fastidiosa pioggia orizzontale accompagnata da potenti raffiche di vento di certe giornate invernali che a volte mi costringe a prendere il tram. Le due ruote scivolano veloci nella pista ciclabile, arrivo al tribunale internazionale e comincio la mia intensa giornata lavorativa. Incontro Pero e il gruppo di colleghi diventati amici. Lui, come molti altri suoi conterranei sta affrontando un difficile percorso di ricostruzione di vite il cui destino si è incrociato con orrori inenarrabili che rimbalzano periodicamente nei vari angoli del pianeta in forma di notizia per fare sensazione. Il suo cruccio maggiore è quello di far conoscere la sua fidanzata alla madre, non per problemi di timidezze reciproche o di insanabili differenze culturali tra diverse nazionalità, bensì, come accennavo alla mia compagna di commuting transfrontaliero, per una questione di confini geografici. Eh sì perché a poche centinaia di chilometri, nel cuore orientale del'Europa meridionale, poco più a Nord della culla greca della nostra civiltà, esistono ancora antichi cimeli di divisioni nazionali, più che frontiere, barriere permeabili soprattutto se i meccanismi della corruzione risultano ben oliati. Alle 9 i monitor del tribunale si accendono, il ticchettio sulle tastiere dei computer si mescola ai fruscii delle toghe.
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19.4.10
I ♥ this volcano!
Iceland volcano
Un germoglio, l'incontro di due gabbiani,
un uomo in fuga, un coniglio appare dal cappello dell'illusionista
e il mondo si ferma a pensare.
Il tempo rallenta i tempi,
con la complicità di un vulcano dispettoso.
©© Valentina Cosimati
Etichette: racconto breve
18.4.10
Naturalmente
L'aria è ferma
un vulcano dispettoso
inonda di cenere calma
i cieli europei
Il mondo vuole respirare
e con uno starnuto
digerisce
l'avvelenamento
del suolo
Una piccola pausa
nelle frenesie migratorie
Le rondini volano basse
e gli uccellini ridacchiano in cinguettii multicolori
A ritardare il lancio di un missile, ad allentare il soffocamento da polveri sottili
un picchio aveva già provato
con momentaneo successo
A volte la natura
spiega all'umanità
che per mantenere la sua forza tecnologica
dovrà
imparare a
rispettarla
amarla
prendersene cura e coccolarla
©© Valentina Cosimati
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15.4.10
Quad Rules
Mi addormento con la sensazione che qualcosa sta per accadere, il mio corpo è un fascio di nervi pronto a scattare ben prima che gli uccellini comincino a chiacchierare per svegliare il sole.
Colazione, doccia rigenerante, generosa spazzolata ai denti, indosso gli abiti più normali che ho, per passare inosservata, preparo il borsone e mi immergo nel torpore della città al suo risveglio.
I netturbini sono già al lavoro, l'odore del pane nei forni si unisce al rumore delle saracinesche dei bar, non quelli per i turisti che aprono più tardi, quelli in cui puoi gustare una pasta croccante e la perfetta armonia di un cappuccino preparato da mani esperte. Saluto mentalmente gli sparuti passanti; i venditori nei mercati cominciano ad allestire i banchi con movimenti calcolati, lenti e ripetitivi.
Casse di frutta e verdura pronte a colorare le piazze, qualche sveglia attiva lampadine nelle cucine, ciabattare pigro di risvegli dietro finestre ancora chiuse a proteggere i sogni.
Luci azzurre e gialle si alternano al lampeggiare dei semafori spenti nelle strade vuote.
L'umidità penetra nelle narici insieme alla freschezza dell'aria pulita dal mattino.
Le gambe si muovono veloci in accordo con il battito del cuore.
Un gruppetto di corridori insonni passa veloce col ritmo cadenzato di respiri controllati.
Attraverso le strade più note, il borsone pesa sulla spalla destra e lo sposto a sinistra e viceversa.
Uno scoiattolo mi guarda curioso, non è abituato a vedermi a quell'ora, i lampioni cominciano a spegnersi, segno inequivocabile del nuovo giorno in arrivo.
Non c'è ronzio di computer e ventilatori, gli uffici apriranno tra qualche ora, adesso la città non appartiene agli impiegati e agli studenti, ai manager e ai commercianti, ai turisti e ai professori, è ancora un territorio su cui scrivere e agire storie di quotidianità urbane.
Zigzagando e svicolando mi ritrovo in zone a me quasi sconosciute. Con calma determinazione raggiungo la postazione, alle spalle i rumori della città al risveglio, il cielo si colora di viola, rosa e azzurre plumbeo, gli uccellini cantano a voce sempre più piena in un preludio all'alba; una linea dorata all'orizzonte si unisce al giallo oro del cielo.
Accelero seguendo il ritmo del mio cuore, trovo un piccolo riparo, un sorriso di sollievo delle spalle quando appoggio a terra il carico un po' pesante che i ha portato fin lì.
Lentamente scorro la linguetta nei binari della zip, assaporando il passaggio sui dentini metallici, estraggo la custodia semirigida, ne percepisco la consistenza.
Le cerniere scattano in una sequenza di click clack, indosso le protezioni, il metallo lucidato per l'occasione vibra all'aria frizzante.
Mi guardo intorno, via libera, pare.
Un rumore mi fa sobbalzare.
È uno dei miei compagni, mi tranquillizzo mentre si avvicina e mi tende la mano per un saluto di rito rielaborato su tracce newyorkesi e poi via!
Finalmente libera sui miei quad scintillanti, cimelio di avventurose ricerche, mi tuffo sulla pavimentazione liscia come una indoor.
L'asfalto fresco di betoniera è ora territorio quad, i bladisti coi loro schettini su ruote che si ostinano a chiamare pattini non sono ancora arrivati nel nuovo cantiere.
'Quad rules' urlo nell'alba assaporando la vittoria per il territorio riconquistato e la lunga corsa sui miei pattini a quattro ruote non allineate.
©©Valentina Cosimati
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14.4.10
Un sogno di libertà
Emir ha deciso di tentare il colpo grosso.
Alto, bello, con gli occhi mobili, le mani da giocatore di basket. La vita è stata contraddittoria con lui e ne porta ancora i segni addosso, li porterà per sempre. Ha il carattere e la stoffa del vincente ed è l'orgoglio di sua madre.
Lo ascolto un po' stupita in quella piovosa e grigia giornata olandese, ha l'aria trasognata, come se riuscisse a visualizzare il futuro di cui mi parla. Lo guardo, un metro e novantotto, gambe lunghe muscolose e forti, spalle larghe, sembra che gli abbiano sparato una cannonata in pieno petto, era troppo giovane per farsi ammazzare.
A Srebrenica lui e suo padre si erano salutati con uno sguardo pieno di amore.
E la cannonata gli era scoppiata nel petto, silenziosa, eterna, tra lo sterno e lo stomaco.
Il segno è rimasto nelle ossa, nella pelle, una cicatrice emozionale per contestare il teorema di Andrej per cui l'unica cosa che farebbe più male dei sentimenti sarebbe una scheggia di granata nella pancia.
Mi sono persa, lui continua a parlarmi della famiglia ideale.
Deve essersi accorto che lo guardavo con aria interrogativa, non è il tipo di persona che si apre facilmente al racconto e la mia disattenzione non aveva scusanti plausibili se non che sentivo una nota di falsità nella sua voce, non era quello l'oggetto del suo discorso e stava allungando il brodo, il suo modo per testare se poteva fidarsi dell'interlocutore.
Un grande affetto mi aveva scaldato il cuore la prima volta che l'avevo incontrato, ci siamo capiti immediatamente e non superiamo mai il limite del non detto.
Sappiamo e tanto basta, il tacito accordo tra noi è io non chiedo tu non rispondi, stavolta, però, ho chiesto e lui ha risposto, sempre non chiedendo e non rispondendo. “Ti sei innamorato, eh?”. “Sì”. Una confessione in piena regola, d'altronde da giorni era inquieto, mangiava nervosamente e ogni volta che gli chiedevo qualcosa diventava evasivo.
Orgoglioso com'era aspettava pazientemente e sapeva che prima o poi l'avrei capito.
Era grande e grosso, aveva salvato la pelle sua e di altre persone anche in mezzo al fuoco incrociato con un coraggio e una capacità straordinarie sapeva affrontare pericoli e difficoltà che a chiunque sarebbero sembrati insormontabili e, come tutti, aveva una paura fottuta dei suoi sentimenti.
“Comunque non era di questo che volevo parlarti”, disse riprendendo il suo piglio determinato e sicuro. Un'idea gli girava in testa da un po' e aveva deciso di raccontarmela.
Eravamo lì, seduti sulla scalinata davanti al tribunale contro i crimini di guerra, intorno a noi giornalisti indaffarati a narrare orrori inenarrabili, guardie borbottanti per la nostra presenza, giuristi in toghe e parrucche con facce tetre e occhi intrisi di cinismo, reporter di guerra abituati a vendere genocidi sensazionali ad un pubblico assetato di storie commoventi, testimoni sopravvissuti a crimini contro l'umanità impauriti da quegli stessi ricordi che avrebbero inchiodato sanguinari miliziani e banalissimi gerarchi corrotti da bramosie di potere prodotti da propagande di odio e violenze inaccettabili, lobbysti di organizzazioni non governative impegnati a far rispettare trattati fondamentali, impiegati di quelle organizzazioni internazionali assorti nel loro codice di sigle per poter passare di grado il più in fretta possibile. E lui lì, in tutto quel trambusto di emozioni contrastanti a chiacchierare non della sua brillante carriera come giornalista di punta e futuro portavoce del primo ministro del suo paese, no, per Emir erano dettagli, l'insalatina verde nella sua vita riempita a forza di emozioni da dimenticare, il contorno necessario a ciò che per lui era davvero importante.
Era ora di tornare in aula per il processo.
Emir non accennò più al discorso e le nostre vite presero direzioni diverse.
Lo avrei incontrato più volte negli anni a venire, per qualche strano motivo faceva parte della mia vita molto più di quanto si possa immaginare.
Il destino aveva unito i binari delle nostre esistenze in un fredda giornata della primavera sarajevese.
Il ghiaccio quella mattina illuminava i germogli che si stiracchiavano risvegliando gli alberi e gli uccellini dal torpore invernale.
Nonostante mesi di pratica non avevo ancora imparato a muovermi con agilità e, intabarrata nel mio piumino modello mi-sono-alzata-dal-letto-anche-se-non-si-vede, colbacco, sciarpona, guanti e scarponcini all condition gear con carro armato all terrain, guardavo con una punta di ammirazione meravigliata le ragazze cristiane, ebree, musulmane, in tacchi a spillo e capelli al vento che, con ostentata disinvoltura, volteggiavano per le vie cittadine al ritmo di musiche da mercato, richiami di muezzin, suoni di campane e vociare allegro.
Attraverso Piazza della Liberazione cercando di non scivolare sulle partite di scacchi giganti con la stessa delicatezza di una palla da bowling in un negozio di swarosky, mentre ragazzini che bombardano di neve fresca gli autobus gialli su cui campeggia la scritta 'Japan' vengono rincorsi a velocità supersonica da agilissimi poliziotti cittadini che però non riescono mai ad acciuffarli.
Raggiungo la Dom Armjie, quell'inconfondibile brivido lungo la schiena sempre uguale a se stesso, e poi ecco il mio luogo di salvezza; la caldissima e super affollata caffetteria, libreria, casa editrice BuyBook, gioiello di civiltà austroungarica in chiave ultramoderna in cui è possibile assaporare veri cappuccini di evidente scuola italiana, non quelle imitazioni che si trovano all'estero, oltre a caffè per qualunque gusto e centrifugati rigorosamente bio. Il tutto immerso in una nube di fumo, chiacchiere nelle lingue più disparate, opere d'arte concettuali e fermenti creativi tipici di un paese in piena fase di ricostruzione.
Faccio appena in tempo a scrollarmi dalle ossa il vento gelido che cristallizza goccioline di sudore e a riprendere un aspetto civile prima di incontrare il gruppo di colleghi in cerca di storie da far rimbalzare nei vari angoli del pianeta. Mi convincono ad addentrarmi nella parte interna, si prepara un evento memorabile.
Ho sempre nutrito un certo scetticismo per le zone in cui il conflitto si è manifestato nelle forme più atroci, per un misto di diffidenza, paura e rispetto della memoria. Forse anche per una certa pigrizia intellettuale o perché, in fondo, quell'atmosfera dove la voglia di vivere si percepisce a pelle è un piacere insolito, un lusso emozionale in cui mi piace avvolgermi.
Stavolta le scuse che tengo pronte in queste occasioni si sciolgono come la neve che fa schiudere i germogli.
Mi imbarco con la comitiva in un indimenticabile viaggio nella meraviglia della normalità in un paese in cui tutto è sopra le righe.
Ore che sembrano non passare mai tra ingarbugliate stradine di montagna col fondo ghiacciato, contornate da strapiombanti pendii e pianure ricolme di mine antiuomo tarate sul peso di un bimbo di quattro chili, ci conducono in un una piccola città che non oserei definire ridente.
Le facciate dei palazzi decorate da raffiche di granate e i volti degli adulti, giovani uomini e donne cresciuti troppo in fretta, rivelano una desolante tenacia di vivere nonostante le distruzioni di vite vissute sullo sfondo di destini intrecciati in un altrove tanto lontano da risultare tangibile.
Un vociare di ragazzini festanti distrae i miei neri pensieri color della pece e la desolazione svanisce come per incanto. Non c'è tempo di chiedersi il perché di tutta questa allegria, io e i colleghi incontrati da BuyBook veniamo quasi investiti da un'attività frenetica degna delle più affollate peak hours nel centro di New York o Londra.
Operai corrono con carpenterie varie, insegnanti dal perentorio tono balcanico cercano di tenere buone scalmanate scolaresche, carovane di adolescenti vestiti a festa si spostano in gruppi che farebbero gola a qualsiasi pubblicitario, intere famigliole si muovono a grappoli, politicanti e manager urlano indicazioni cercando di sovrastare il vociare convulso, camioncini improbabili affollano lo spazio sonoro con un concerto di clacson che sembra di essere a Roma quando piove, e relative imprecazioni, richiami di venditori ambulanti e gruppi di musicanti klezmer e gitani.
Per un attimo, quel frammento in cui posso pensare, ho la sensazione di essere stata catapulta a mia insaputa nel set di un cevapi western, nel bel mezzo di una coloratissima ballata balcanica.
Una concitata guida locale inviata dalle autorità ci scorta, si fa per dire visto che lei si destreggia a velocità olimpica con tacchi vertiginosi su un terreno difficile da percorrere anche con anfibi corazzati mentre noi arranchiamo verso una costruzione in cemento armato, il luogo da cui e per il quale sembra originarsi tutta quella gran confusione.
M'illumino d'immenso alla vista di un volto conosciuto.
Emir è lì, a dirigere un'orchestra di batticuori ed emozioni.
Gli occhi raggianti controllano i più piccoli movimenti della massa vociante con assoluta concentrazione. Vado spedita verso di lui, mi fa cenno di aspettare e mi indica una porta a vetri, un caffè, ampio, accogliente, caldo, in cui l'aroma di dolci si mescola a raffinate note jazz. Dopo il rituale di svestizione, colbacco, piumino, guanti, sciarpone, un paio di strati di maglioni, sistemo sul tavolino il blocchetto per gli appunti, penne, matite, pacchetto di fazzolettini di carta. Sorseggio un cappuccino e cerco di capire il motivo di tanta euforia. Nel caffè ovviamente si parlotta animatamente, commenti al grande evento di cui Emir sembra essere il regista.
La mia scarsa conoscenza della lingua mi preclude la comprensione di discussioni tanto partecipate, percepisco l'elettricità nell'aria ma dovrò attendere ancora l'arrivo del mio amico per capirci qualcosa in più. Quando qualcuno entra gli avventori cominciano a fare domande e ascoltano con crescente interesse sviluppi della situazione, se le notizie non risultano sufficienti un gruppetto viene mandato in esplorazione e torna con aggiornamenti soppesati e valutati dagli altri con esclamazioni, risate, raffiche di reazioni.
L'intera nazione sembra essersi riversata in quel piccolo paese per assistere al grande evento.
È evidente che non si tratta di qualche commemorazione ufficiale, né tantomeno della visita di qualche personaggio istituzionale, neanche il presidente più potente del mondo potrebbe dar vita ad una tale ridda di commenti e soprattutto ad un coinvolgimento emotivo tanto forte da parte della gente. Dev'esser qualcosa di più delicato, di più importante. Continuo a sorseggiare il cappuccino ormai tiepido quando si apre un varco ed entra la star del momento tra l'ammirazione generale. Emir mi raggiunge nell'improvviso silenzio, ci abbracciamo da buoni amici e, con i quasi due metri di altezza, mi solleva in una dimostrazione tutta mediterranea di affetto e soddisfazione per la mia presenza lì quel giorno.
Rispetto le formalità e tengo a freno la mia curiosità finché non si conclude l'aggiornamento sulle condizioni di salute, lavorative e sentimentali dei nostri comuni amici.
Leggo gioia nei suoi occhi e questo mi infonde sicurezza, un brivido di profonda felicità attraversa il mio corpo, rendendomi partecipe di quella euforia che fa scricchiolare per un lungo momento il tacito accordo del non chiedo non rispondi.
Divertito, mi guarda, comprende lo sforzo e apprezza ma decide anche di tendere la corda della mia curiosità, di titillarla un po' quasi si trattasse di un arco nell'attimo immediatamente precedente allo scoccare del dardo.
“Un'idea mi girava in testa da un po'” mi dice testando le mie capacità mnemoniche, erano trascorsi alcuni anni da quel giorno sulle scalinate del tribunale contro i crimini di guerra ma neanche dopo millenni avrei potuto dimenticare l'intensità di quella sua espressione.
Il suo sogno Emir non me lo aveva raccontato, io gli avevo creduto e oggi stava per svelarmelo in tutta la sua semplice meraviglia. Quando si ha a che fare con criminali che finiranno sui libri di storia ci si accorge di una caratteristica distintiva della malvagità e degli orrori: la banalità del male. Anche se i 'cattivi' vengono disegnati come figure intriganti e un genocidio può smuovere coscienze nell'universo creato, il male, l'attuazione e la progettazione sadica delle più efferate atrocità è sempre, costantemente e quasi scientificamente banale, e forse è proprio la banalità di tali azioni che ci sconvolge al punto da inorridire e farci girare lo sguardo da un'altra parte.
Il lampo di determinazione degli occhi del mio amico quel giorno mi fecero capire la differenza tra la banalità e la meraviglia, tra la sete di vendetta e la voglia di rivalsa, tra la cupidigia e la voglia di vivere per realizzare i propri sogni.
“Sono qui”, mi mordo le labbra prima di chiedergli qual è questa idea che lo ha tenuto in attività per anni, ha fatto mobilitare la popolazione di un intero paese, la stampa internazionale, ha creato una ventata di fiducia e allegria in giovani vecchi e bambini e ci manca che davvero arrivi anche il presidente della più potente nazione del pianeta! La sfida ce l'ha nel sangue, avrei dovuto immaginare che si sarebbe alzato di scatto per lasciare che nel caffè riprendesse con tono crescente il chiacchierio.
Mi rivesto della mia armatura da freddo balcanico, ovviamente mi avvio verso la costruzione in cemento armato a prova di granate, missili e quant'altro l'industria bellica è capace di immaginare.
La città, perché adesso sembra proprio una città e non un piccolo paese, è una girandola multicolore.
Entro e mi trovo immersa nel sogno del mio amico: una modernissima palestra da basket, un centro polifunzionale con piscina coperta e pista di pattinaggio a rotelle in cui si riversano festanti gruppi di ragazzini, alcuni di loro hanno avuto degli incontri ravvicinati con le sofisticate mine prodotte in Italia e corrono con protesi, altri si spostano in poltrone a ruote.
Con un lancio da tre punti Emir inaugura l'inizio di una nuova avventura e per la seconda volta lo ringrazio per avermi fatto comprendere la differenza tra banalità e normalità.
Ora il nome di quella piccola città si troverà spesso nelle cronache sportive, probabilmente giovani campioni andranno in NBA e un giorno non lontano i più grandi giocatori del mondo potrebbero sfidarsi proprio lì, in quella piccola città dove un mio amico testardo ha voluto realizzare un sogno di libertà.
E chissà che i ragazzi le cui vite sono state bruscamente e banalmente destinate ad altri mondi non stiano anche loro a fare il tifo per la squadra locale.
(la storia è vera, i personaggi anche, qualche dettaglio un po'
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