25.3.08

 

Balcani, terra di conflitti e convivenze

Kosovo e Republika Srpska due facce di un’unica identità. È possibile che cristiani e musulmani riescano a vivere in pace in Europa se si da voce alle persone e non alle religioni

I Balcani stanno tornando prepotentemente sotto la luce dei riflettori internazionali, ricordandoci che il rischio di nuovi conflitti in Europa è sempre vivo. In questi giorni le immagini dell’accidentale esplosione del deposito di armi in Albania hanno riportato alla mente quelle delle guerre degli anni ‘90 nella ex Jugoslavia, un focolaio non ancora spento dai venti della pace come dimostrano le preoccupanti notizie dal Kosovo.

La provincia serba a maggioranza albanese che lotta per l’indipendenza è balzata di nuovo agli onori della cronaca internazionale per scontri e atti di violenza in cui ha perso la vita anche un ufficiale delle Nazioni Unite. Si è ricominciato a sentir parlare di radici profonde del (secondo alcuni insanabile) conflitto interetnico. Come a dire che etnie, culture e religioni differenti non possono convivere pacificamente, almeno non nei Balcani e forse, in fondo, non è proprio possibile che cristiani e musulmani riescano a vivere in pace, soprattutto in Europa.

Nei Balcani però esiste una lunga tradizione di convivenza pacifica e forse quello che si vuole far passare come conflitto interetnico non è propriamente tale.

Una delle questioni spinose lasciate un po’ nel dimenticatoio è quella della Republika Srpska di Bosnia, la regione immediatamente a Nord di Sarajevo dove sono stati scritti con sangue musulmano alcuni dei più orrendi capitoli delle guerre degli anni ’90. La Republika Srpska è oggi una regione a larga maggioranza serba, i residenti possono votare alle elezioni per il governo di Belgrado, purtroppo di musulmani o cattolici sono rimaste poche tracce.

In altre parole, è una regione ‘etnicamente pulita’, con tutta la tragicità che questa espressione porta con sé in termini di vittime, crimini contro l’umanità e genocidi – Srebrenica, con oltre 8000 musulmani uccisi in pochi giorni; Foca, campo di stupro per giovanissime donne ‘non serbe’ sono solo alcuni degli esempi.

Da anni serpeggia l’ipotesi che la Republika Srpska, riconosciuta come una delle due ‘entità’ della Bosnia Erzegovina, possa essere dichiarata indipendente. Idea che ovviamente non piace alla Federazione della Bosnia Erzegovina e soprattutto non è accettabile dalla comunità musulmana bosniaca, che pure ha dimostrato negli anni un’altissima capacità di perdonare, per lo meno a Sarajevo.

Insomma, i serbi del Kosovo affermano a ragione di essere perseguitati nella provincia a maggioranza albanese e sono contrari alla ‘secessione’ dalla Serbia, e dall’altro lato i bosniaci sono contrari alla secessione della Republika Srpska, tanto per ricordare al mondo intero che gli accordi di Dayton hanno posto fine al conflitto armato ma hanno di fatto formalizzato la pulizia etnica.

All’apparenza i conflitti tra le ‘etnie’ sono insanabili ma la storia ci insegna che non sono le ‘etnie’, le religioni, le culture ad incontrarsi (o scontrarsi più o meno violentemente): il dialogo nasce sempre e comunque dalle persone, sono le persone, i cittadini interagenti in uno spazio pubblico condiviso, quelle che possono veramente fare la differenza.

Si dice che le buone notizie non facciano notizia e in effetti si dimentica sempre di menzionare che nei Balcani, e soprattutto in Bosnia Erzegovina – lo stato più preso di mira ma anche quello in cui le ‘etnie’ sono maggiormente ‘mescolate’ – la tradizione di convivenza pacifica si è sempre espressa proprio in gesti di quotidiano rispetto, quali, ad esempio, l’usanza di tenere in tutte le case non musulmane dei piatti per gli ospiti in cui non era mai stata messa della carne di maiale.

Sarajevo è una città in cui le contraddizioni eccessive sono la norma e colpisce come un pugno nello stomaco ascoltare le parole sorprese di molti musulmani che alla domanda ‘crede sia possibile che cristiani e musulmani possano vivere insieme pacificamente dopo la pulizia etnica?’ rispondono con semplicità che odiare il vicino di casa è una follia; che dimenticare non è né possibile né giusto ma si deve fare una chiara distinzione tra le persone senza scomodare dei, patriarchi e profeti; e che in fondo tante religioni significano più feste e più modi di celebrare la vita.

Nella ‘pacifica’ Europa è molto difficile capire un pensiero tanto semplice, frutto di anni di convivenza ma anche, e forse soprattutto, di un importante processo di laicizzazione della società.

Sono le persone, non le religioni, a fare la differenza, ma ciò è possibile solo in uno spazio pubblico in cui identità multiple possano interagire tra loro. Un imam in una chiesa o un vescovo in una moschea saranno sempre ‘ospiti’ in territorio altrui e la stessa cosa vale per cittadini la cui identità venga riconosciuta anche su basi religiose e/o etniche in stati che non riescono a garantire la laicità dello spazio pubblico condiviso.

by Valentina Cosimati
online @ Sole Rosso

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