10.5.07
Il corpo si fa politico nella danza di Trisha Brown
Al Teatro Olimpico di Roma la sua produzione "teatrale"
Icona del post-modern che portò i ballerini fuori dai teatri
Al Teatro Olimpico di Roma il 9 e 10 maggio è di scena la grande danza con un programma della Trisha Brown Dance Company dedicato alla produzione ‘teatrale’ dell’icona del post-modern. L’evento, organizzato dall’Accademia Filarmonica Romana in collaborazione con l’Associazione teatrale Emilia Romagna – Ater, è un imperdibile excursus nelle produzioni ‘da palcoscenico’ della straordinaria coreografa statunitense che insieme a Yvonne Rainer e Steve Paxton ha travalicato i confini della coreografia, portando la danza fuori dai teatri e dando vita ad un nuovo modo di concepire le arti performative.
“Mi considero in un certo senso più un’artista che una coreografa – sostiene - e credo che il compito principale dell’artista sia quello di essere creativo”. La sua ricerca sui limiti del movimento ha abbracciato le arti plastiche e visive, con collaborazioni eccellenti, quali quelle con Robert Rauschenberg, il pittore statunitense che ha coniugato l’espressionismo astratto con la pop art; Laurie Anderson, la violinista elettronica e madrina della Performance Art; Lina Wertmuller, che l’ha convinta a cimentarsi con l’opera lirica e il compositore Salvatore Sciarrino.
Trisha Brown arriva a New York nell’epoca d’oro dello sperimentalismo postmodernista e si mette subito in luce come una delle più interessanti voci di quel movimento che ha radicalmente ripensato e rivoluzionato la danza e l’arte contemporanea. La sua grande intuizione, che l’ha portata dalle cantine degli oratori fino ai più prestigiosi teatri nel mondo, è stata quella di ‘rompere’ con la danza moderna, ormai arrivata alla massima espressione con José Limón, suo maestro, e Merce Cunningham.
Agli inizi degli anni ’60 a New York l’energia rivoluzionaria elettrizzava l’aria, si scopriva il corpo come luogo politico, i giovani artisti che popolavano SoHo e la capitale intellettuale degli Stati Uniti volevano riprendere gli spazi della Grande Mela. Trisha Brown, insieme ai suoi amici del Judson Dance Theatre, riesce a cogliere questa energia e a comprendere che la danza, massima espressione del corpo in movimento all’incessante ricerca di un dialogo con la forza di gravità, doveva uscire dai teatri e andare verso il cielo, sui tetti degli edifici o sulle superfici dei palazzi. Si arma di funi, imbracature da scalata, carrucole e si cimenta con le esperienze gravitazionali dei suoi equipment pieces.
Leggendari i suoi Man Walking Down the Side of a Building (1970-1971), in cui dei performer camminano perpendicolarmente ai muri sfidando la gravità con la casualità del gesto quotidiano reso azione performativa, e Roof Piece del 1973, in cui 12 danzatori posizionati sui tetti di altrettanti palazzi newyorkesi si ‘passavano’ i movimenti, comunicandoli da un tetto all’altro.
Acuta interprete del presente, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 va ancora controcorrente e riporta le sue coreografie a teatro. Nel 1983 crea Set and Reset, che segna il passaggio verso la coreografia astratta per palcoscenici tradizionali. Questo capolavoro dell’astrattismo, elaborato insieme a Robert Rauschenberg su musiche originali di Laurie Anderson, aprirà le serate romane al Teatro Olimpico. Il secondo lavoro presentato a Roma è Present Tense – Tempo Presente (2003) su musiche di John Cage, una coreografia che coniuga le ricerche della Brown sull’astrazione con la narrazione emozionale. Il programma si chiude con Groove and Countermove (2000), un’esplorazione danzante nel mondo del new jazz.
Al Teatro Olimpico di Roma il 9 e 10 maggio è di scena la grande danza con un programma della Trisha Brown Dance Company dedicato alla produzione ‘teatrale’ dell’icona del post-modern. L’evento, organizzato dall’Accademia Filarmonica Romana in collaborazione con l’Associazione teatrale Emilia Romagna – Ater, è un imperdibile excursus nelle produzioni ‘da palcoscenico’ della straordinaria coreografa statunitense che insieme a Yvonne Rainer e Steve Paxton ha travalicato i confini della coreografia, portando la danza fuori dai teatri e dando vita ad un nuovo modo di concepire le arti performative.
“Mi considero in un certo senso più un’artista che una coreografa – sostiene - e credo che il compito principale dell’artista sia quello di essere creativo”. La sua ricerca sui limiti del movimento ha abbracciato le arti plastiche e visive, con collaborazioni eccellenti, quali quelle con Robert Rauschenberg, il pittore statunitense che ha coniugato l’espressionismo astratto con la pop art; Laurie Anderson, la violinista elettronica e madrina della Performance Art; Lina Wertmuller, che l’ha convinta a cimentarsi con l’opera lirica e il compositore Salvatore Sciarrino.
Trisha Brown arriva a New York nell’epoca d’oro dello sperimentalismo postmodernista e si mette subito in luce come una delle più interessanti voci di quel movimento che ha radicalmente ripensato e rivoluzionato la danza e l’arte contemporanea. La sua grande intuizione, che l’ha portata dalle cantine degli oratori fino ai più prestigiosi teatri nel mondo, è stata quella di ‘rompere’ con la danza moderna, ormai arrivata alla massima espressione con José Limón, suo maestro, e Merce Cunningham.
Agli inizi degli anni ’60 a New York l’energia rivoluzionaria elettrizzava l’aria, si scopriva il corpo come luogo politico, i giovani artisti che popolavano SoHo e la capitale intellettuale degli Stati Uniti volevano riprendere gli spazi della Grande Mela. Trisha Brown, insieme ai suoi amici del Judson Dance Theatre, riesce a cogliere questa energia e a comprendere che la danza, massima espressione del corpo in movimento all’incessante ricerca di un dialogo con la forza di gravità, doveva uscire dai teatri e andare verso il cielo, sui tetti degli edifici o sulle superfici dei palazzi. Si arma di funi, imbracature da scalata, carrucole e si cimenta con le esperienze gravitazionali dei suoi equipment pieces.
Leggendari i suoi Man Walking Down the Side of a Building (1970-1971), in cui dei performer camminano perpendicolarmente ai muri sfidando la gravità con la casualità del gesto quotidiano reso azione performativa, e Roof Piece del 1973, in cui 12 danzatori posizionati sui tetti di altrettanti palazzi newyorkesi si ‘passavano’ i movimenti, comunicandoli da un tetto all’altro.
Acuta interprete del presente, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 va ancora controcorrente e riporta le sue coreografie a teatro. Nel 1983 crea Set and Reset, che segna il passaggio verso la coreografia astratta per palcoscenici tradizionali. Questo capolavoro dell’astrattismo, elaborato insieme a Robert Rauschenberg su musiche originali di Laurie Anderson, aprirà le serate romane al Teatro Olimpico. Il secondo lavoro presentato a Roma è Present Tense – Tempo Presente (2003) su musiche di John Cage, una coreografia che coniuga le ricerche della Brown sull’astrazione con la narrazione emozionale. Il programma si chiude con Groove and Countermove (2000), un’esplorazione danzante nel mondo del new jazz.
by Valentina Cosimati
published on Liberazione del 10 maggio 2007
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