11.9.06

 

A scuola di cittadinanza attiva nel mosaico culturale canadese


La partecipazione che piace e fa comunità


Valentina Cosimati

“Il multiculturalismo in Canada è una realtà molto complessa che riguarda tutti gli aspetti della vita sociale e politica, è un sistema basato sul rapporto tra le comunità, una grande tolleranza e una buona dose di nomadismo”. A parlare è l’antropologa Mariella Pandolfi, una donna forte e allergica ai conformismi del pensiero che ha lavorato per anni in Albania e nei Balcani criticando l’imperialismo dell’azione umanitaria; oggi vive e insegna a Montreal.
Il Canada è uno dei tre paesi al mondo, insieme al Regno Unito e all’Australia, ad aver adottato formalmente questo sistema come politica e come pratica sociale e culturale. In realtà il multiculturalismo in senso stretto è proprio nato qui.

L’8 ottobre 1971 Pierre Trudeau, il primo ministro famoso per le sue originalità e per la piroetta dietro la schiena della Regina d’Inghilterra, annuncia in uno storico discorso alla House of Commons (Camera dei Comuni) che, viste le conclusioni della Commissione reale sul bilinguismo e la disparità nel sostegno statale a favore delle istituzioni anglofone, il Canada decide di adottare una politica che garantisca a tutti i cittadini il diritto di mantenere e condividere la propria cultura. “Non può esistere una politica culturale unica – si legge nella trascrizione dell’udienza parlamentare – per canadesi di origini francesi e inglesi, un’altra per gli aborigeni, e una terza per tutti gli altri”

“Non c’è una cultura ufficiale e nessun gruppo – si legge più oltre – deve prendere il sopravvento sugli altri. Ogni cittadino o gruppo di cittadini è canadese e di conseguenza deve essere trattato equamente”. L’idea di base è che l’aderenza ad un gruppo o una comunità non sia legata alla lingua o all’origine geografica ma più specificamente alla volontà collettiva del gruppo di esistere e di essere partecipe nella società.

Trentacinque anni fa il Canada ha di fatto legittimato un nuovo concetto di cittadinanza basato sull’appartenenza alle comunità che costituiscono lo stato inteso come spazio pubblico, riconoscendo uguale dignità ad ognuna di esse, e ha introdotto un sistema legale, politico e culturale che di fatto stimola la comunicazione tra le comunità e che viene periodicamente monitorato da appositi organismi governativi che controllano lo ‘stato di salute’ del sistema ed eventualmente agiscono per modificarne alcuni aspetti.

Nella cultura canadese, l’appartenenza non è legata necessariamente al luogo di nascita, ma alla partecipazione degli elementi del gruppo ad una complessa realtà sociale in cui le identità di ognuno e di tutti vengono rispettate e considerate una ricchezza inestimabile. La cittadinanza canadese è molto più vicina all’idea di civitas, che presuppone una attiva partecipazione alla vita delle comunità, della città e dello stato.

“Il multiculturalismo – ci spiega Joe Pantalone, vicesindaco di Toronto – è un’idea molto complessa che si sviluppa su vari piani. L’appartenenza ad una comunità non è mai data per scontata, le comunità aiutano chi arriva in Canada a trovare degli elementi riconoscibili, a scambiare informazioni con persone che parlano la stessa lingua, o perché vengono dallo stesso paese o perché hanno un background di esperienze comuni, ma è un rapporto di scambio continuo e costante. Le comunità – prosegue il vicesindaco della capitale mondiale del multiculturalismo - aiutano le persone ad ambientarsi nella nuova società senza eccessive frizioni e difficoltà che portano solo violenza e nello stesso tempo evitano che la ricchezza di esperienze, conoscenze e saperi che ognuno porta con sé venga sprecato. È una cosiddetta win-to-win situation, in cui tutti traggono beneficio nel processo stesso di interazione”

La società canadese può essere definita come un coloratissimo mosaico in costante movimento, al contrario di quella americana improntata al modello del ‘melting pot’ (insalatona o minestrone) che di fatto perpetua uno schema colonialista al suo interno e che è molto più statica. Il melting pot tende all’assimilazione delle culture, imponendo dei modelli che sono la riproposizione di una cultura standardizzata; il multiculturalismo invece si basa sul rispetto della dignità dell’essere umano e sul mantenimento dell’eredità e del patrimonio culturale, dal cibo alla lingua, alle reti di contatti tra le persone e i paesi di origine.

Si potrebbe pensare che il multiculturalismo funzioni in Canada perché è uno dei paesi con la massima estensione territoriale al mondo, con un numero di abitanti pari alla metà della popolazione italiana, un’economia florida e una storia relativamente breve. Sfogliando i dati del censimento diffuso dal governo, però, salta agli occhi che la maggior parte degli abitanti vive nelle metropoli, con concentrazioni di nazionalità che arrivano a circa duecento.

Ci sono più nazionalità nella sola città di Toronto, insomma, che nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, eppure - come Michael Moore ha messo in luce in Bowling for Columbine - nella capitale mondiale del multiculturalismo le persone convivono pacificamente. Secondo il cineasta americano gli Stati Uniti hanno una cultura fondata sulla paura dell’altro – qualunque sia il significato della parola – mentre il Canada è fondato su valori diversi, quali un alto grado di civiltà per quanto concerne il rispetto dei diritti fondamentali del cittadino (dall’educazione alla sanità, rigorosamente pubbliche), tolleranza e una profonda curiosità per l’altro.

“Per un americano come me – dice Moore nel suo film documentario – con tre lucchetti alla porta, tutto questo mi confondeva un po’. Anche a Toronto, una città con milioni di abitanti, le persone semplicemente con chiudono la porta a chiave”. L’intervistato risponde a Moore che gli americani pensano che “mettere un lucchetto alla porta tenga le persone all’esterno, mentre noi canadesi lo vediamo più come un modo per mettersi in prigione da soli”.

Le critiche al multiculturalismo sono molte ma è innegabile che il Canada è riuscito a sviluppare un sistema di convivenza che funziona e che si basa su una costante partecipazione alla vita dello stato.

“Qui – ci spiega ancora Mariella Pandolfi – è molto importante tenere in considerazione il fattore ‘nomadismo’. Quella canadese è una società in costante movimento ma soprattutto – prosegue l’antropologa - i canadesi viaggiano molto, entrano attivamente in contatto con altre realtà. Moltissime persone parlano almeno due o tre lingue e la conoscenza di altre culture e paesi è considerato un fattore molto positivo”.

Mosaic image of Toronto

Valentina Cosimati
published on Queer, Liberazione del 10 settembre 2006

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