11.6.06

 

Scrittrici canadesi, l'insegnamento delle donne in canoa

Le letterate raccontano la frontiera e le nuove libertà, hanno imparato dall'autonomia delle donne indigene.

di Valentina Cosimati - Toronto

Pioniere, protagoniste, indipendenti, belle, coraggiose, intelligenti e famose. Così sono le scrittrici che dominano da secoli la scena letteraria del Canada, il Nord-America anti americano per eccellenza, un paese in cui oltre 170 nazionalità diverse convivono pacificamente e in cui l’immaginario collettivo è stato creato da mani femminili, che hanno saputo tessere le trame e l’epica di quello che da molti è stato definito un ‘patchwork’ o ‘mosaico’ multiculturale. Da Frances Brooke, autrice di quello che da molti è considerato il primo romanzo nord-americano, a Margaret Atwood, vera e propria icona della letteratura canadese, fino a Naomi Klein, l’autrice di No Logo, sono state proprio le donne a dare voce e immagini a questo paese così vicino e così lontano dagli Stati Uniti.

“Quando i primi coloni sono arrivati in Canada spesso in cerca della libertà che non trovavano nel Vecchio Mondo – ci racconta Barbara Godard, femminista storica di Toronto, una donna minuta con capelli bianchissimi, vivaci occhi azzurri, carattere di ferro e un’inesauribile energia – dovettero fare i conti con un mondo da costruire che offriva grandi spazi ma non era disabitato. Gli uomini si confrontavano con un territorio da conquistare, un sistema sociale da far nascere e delle città da costruire, le mogli degli ufficiali coloniali che venivano da Francia, Inghilterra e Scozia generalmente provenivano da famiglie ‘bene’, sapevano leggere, scrivere e disegnare; qui non c’erano teatri o una vera e propria vita sociale, così mentre gli uomini erano impegnati a costruire lo stato, le donne prendevano nota di quello che vedevano, si occupavano dell’educazione e soprattutto descrivevano con le parole e con i disegni questo Nuovo Mondo”.

È proprio una scrittrice a raccontare le difficoltà del Nuovo Mondo e della ‘frontiera’, la pioniera dell’epica nord-americana Susanna Moodie, una donna forte e abituata ad esprimere le proprie idee al punto che nel 1831 pubblica il libro
La schiavitù dei negri vista da un negro, chiaramente anti-schiavista.

Le prime scrittrici raccontano della frontiera, di spazi enormi, di nuove libertà, delle difficoltà che si trovano ad affrontare, della nuova vita di cui sono protagoniste sempre più attive e di strani incontri con altre realtà.
Una delle prime ‘stranezze’ che i coloni, uomini e donne, si trovano ad affrontare sono i gruppi di donne indigene che, incuriosite dal trambusto causato dai nuovi venuti, percorrevano chilometri e chilometri in canoa sulle gelide acque dei fiumi e dei laghi insieme ai loro figli senza la ‘protezione’ di uomini.

“Le donne in canoa – prosegue con un sorriso compiaciuto Barbara Godard - erano difficili da gestire: i gesuiti che cercavano di indottrinare le popolazioni locali dovettero farci i conti perché non c’era verso di convertire nessuno senza che le donne fossero d’accordo; gli ufficiali coloniali dovevano relazionarsi a loro perché avevano il potere di nominare e deporre il capo-tribù; le donne europee si trovarono di fronte ad una vera e propria rivelazione.
I gesuiti – ci racconta – dovettero arrendersi e chiamare in soccorso le orsoline, gli uomini ‘di governo’ decisero di segregare i nativi in apposite ‘riserve’ da cui non era possibile uscire oppure rientrare nel caso in cui avessero deciso di inserirsi nel sistema educativo dei coloni; e le donne europee cominciarono a rendersi conto che era possibile addirittura viaggiare per giorni e giorni da sole senza chiedere il permesso agli uomini. Nella seconda metà del 1700 tali libertà non erano nemmeno lontanamente concepibili in Europa, nonostante i movimenti rivoluzionari”.

L’incontro con le donne in canoa sarà determinante nella creazione di un’identità nazionale canadese che doveva già mediare tra due forti identità culturali, quella francese e quella anglosassone, nel confronto con la scoperta di altre frontiere e difficoltà oggettive di sopravvivenza soprattutto durante i gelidi e lunghi inverni.

L’idea che le donne potessero viaggiare da sole ed essere indipendenti filtra nella neonata società canadese è diventa un fattore determinante nella creazione dell’immaginario e della storia nazionale.

Nell’autunno del 1888 ad esempio, l’artista, giornalista, corrispondente parlamentare e intellettuale Sara Jeannette Duncan si imbarca da sola, e nubile, in un viaggio intorno al mondo insieme alla sua amica e collega Lily Lewis. Questo viaggio sarà argomento del libro A Social Departure: How Orthodocia and I Went Round the World by Ourselves / Una partenza sociale: come io e Ortodossia siamo andate in giro per il mondo da sole, ma soprattutto fornirà lo spunto a Sara Jeannette di osservare le realtà e le conseguenze dell’imperialismo. I suoi occhi curiosi e aperti sul mondo registrano immagini, colori e sensazioni e Jeannette racconta le differenze tra canadesi ed europei nei suoi libri da Una ragazza canadese a Londra e L’imperialista, in cui mette in luce le contraddizioni della politica coloniale attraverso il racconto di umane passioni con un intreccio leggero e sofisticato e una narrazione vivace e appassionante.

Mentre Sara Jeannette scrive sui giornali, viaggia in giro per il mondo e descrive la società in cui vive, un’altra giovane autrice si aggira per il paese per raccontare il suo Canada, quello di una donna nata da madre inglese e padre Mohawk.

Si tratta di Pauline Johnston, o Tekahionwake (Doppia moneta o Doppia vita in Mohawk), performer e autrice di testi come The Song My Paddle Sings/ La canzone della mia pagaia. Pauline era una donna indipendente e fiera delle proprie origini, da molti è considerata la prima autrice indiana-americana, viaggiava da sola indossando abiti tradizionali Mohawk e raccontava il suo Canada, alla fine del 1800 era in grado di mantenersi solamente con i proventi delle esibizioni e dei suoi scritti.

Il tempo scorre e mentre in Canada si parla di libertà e ci si confronta con le oggettive difficoltà della frontiera unite ad una delle più aspre crisi economiche dell’era industriale, a Hollywood si fabbricano i sogni di Charlie Chaplin e Buster Keaton, l’Europa viene incendiata dai nazionalismi, e un’altra donna si affaccia sulla scena letteraria internazionale imponendosi come una delle voci più interessanti del ventesimo secolo.

È Dorothy Livesay, libera pensatrice che si laurea alla Sorbonne si unisce ai movimenti comunisti e socialisti francesi dei primi anni ’30 del secolo scorso.
La sua produzione letteraria, così come la sua lunga vita, è il prodotto di un confronto continuo con la società in cui vive.

Attenta osservatrice delle persone, si impegna politicamente in Africa, con l’UNESCO, nella lotta contro le guerre e l’atomica.

La sua voce è quella di una donna consapevole che un altro mondo è possibile e il suo lavoro traccia la strada per artiste forse più famose quali Margaret Laurence, definita da alcuni la ‘first lady della letteratura canadese’, e l’icona Margaret Atwood, la cui opera è ampiamente tradotta in moltissime lingue e il cui nome è nella ‘hall of fame’ del suo paese, per finire con la giovane Naomi Klein, l’autrice simbolo di No Logo.

Queste donne hanno raccontato la ricerca della libertà e hanno costruito l’immaginario di un paese giovane, contribuendo in maniera determinante alla formazione di una società fondata sul dialogo e sul rispetto delle diversità, opponendosi criticamente all’egemonia del pensiero imperialista con un sorriso e una volontà di ferro.

“Purtroppo – osserva Barbara Godard – le donne in Canada hanno da sempre un alto grado di educazione e hanno dimostrato capacità di pensiero e di azione nel corso dei decenni, ma ancora oggi hanno una scarsa rappresentanza politica”.

Pubblicato su Liberazione della Domenica, 11 giugno 2006

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