22.12.05

 

Sarajevo. L'agorà d'Europa

Dieci anni fa, tra il dicembre 1995 e il gennaio 1996, Sarajevo veniva liberata da quello che è stato definito un assedio medievale nel cuore dell’Europa. Oggi si rivela una vivacissima realtà creativa, una città aperta nel cuore dei Balcani, che accoglie stimoli da tutto il mondo e che da vita anche ad esperimenti organizzativi unici sulla scena internazionale.

Nella capitale bosniaca la creatività si respira nell’aria, amata e ‘coccolata’ da intellettuali e artisti di fama internazionale del calibro di Bono Vox degli U2, Renzo Piano, Annie Leibovitz, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Carla Accardi, Jeanne Moreau che qui possono godersi una chiacchierata tra amici in uno dei tanti e vivacissimi caffé, Sarajevo è crocevia di culture da secoli, una capitale del rispetto delle diversità religiose.

Nonostante il tentativo di pulizia etnica messo in atto negli anni ‘90, Sarajevo ha
continuato a mantenere il suo carattere di agorà europea in cui le differenze religiose e di pensiero vengono rispettate e valorizzate invece che annullate e livellate.

“Una delle peculiarità di questa città – ci spiega Enver Hadziomerspahic, ideatore e direttore del Museo-Centro per l’Arte Contemporanea ‘in progress’ Ars Aevi, progettato da Renzo Piano e in corso di realizzazione grazie all’impegno e alla volontà di artisti e intellettuali di tutto il mondo e con un particolare contributo italiano - è che la cultura è sempre stata percepita come parte della vita”.

“Sarajevo ha vissuto un momento di grandissima vivacità culturale durante gli anni ’80 – racconta Izeta Gradevic dell’Obala Art Centra - e Enver era l’organizzatore delle cerimonie di apertura e chiusura dei giochi olimpici del 1984. C’era un gran fermento – ricorda - le frontiere erano aperte e c’era una libertà di movimento che ora non abbiamo. Poi c’è stato uno stop dovuto allo scoppio della guerra due anni dopo la caduta del muro di Berlino. Noi sarajevesi siamo testardi e tenaci e anche durante l’assedio abbiamo continuato a produrre e ad esporre arte, ma certo le condizioni non erano facilissime; ora abbiamo la pace ma alla fine degli anni ’90 il centro Obala ha dovuto fare una scelta tra arte contemporanea e cinema, abbiamo deciso di ridurre quasi a zero la produzione artistica ma speriamo di riuscire a recuperare alcuni spazi, come lo storico Obala Meeting Point, e rimetterli in funzione già all’inizio del 2006”.

Il 1984 è anche l’anno di fondazione della Sarajevska Zima (Sarajevo Inverno), il più importante festival artistico cittadino giunto ormai alla 22ma edizione e presieduto da Ibrahim Spahic – direttore, tra l’altro, della Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo del 2001 Caos e Comunicazione. Negli anni ’80 l’arte sperimentale non era vista di buon occhio un po’ in tutta la Federazione Jugoslava ma a Sarajevo Jusuf Hadzifejzovic e Radoslav Tadic ritagliano uno spazio all’interno del Collegium Artisticum e invitano a rotazione tutti gli artisti ‘non allineati’ delle varie repubbliche. Queste esperienze sono state in gran parte raccolte negli Jugoslavenska Dokumenta, che hanno dato vita alle prime due edizioni della Biennale di Sarajevo (1987; 1989) “la terza edizione del ’91 – ricorda l’organizzatore Enver Hadziomerspahic – non ha mai visto la luce per problemi politici”.

Cosa successe? A partire dal 1992, infatti, Sarajevo viene stretta nella morsa di uno dei più crudeli e lunghi assedi della moderna storia europea. Molti sarajevesi trovano rifugio all’estero, ma molti musulmani, croati, ebrei, atei e serbi rimangono in città. Il mercato, la biblioteca nazionale, la sede del quotidiano Oslobodenje, l’hotel Europa, gli edifici olimpici vengono distrutti da granate incendiarie, i cecchini sparano per la strada ai civili in cerca di acqua e cibo, sembra un attacco deliberato proprio a quella gioia di vivere e allo spirito di libertà che caratterizzano la capitale bosniaca.

In questi anni nasce l’idea di Sarajevo 2000 e del Centro Ars Aevi, Obala continua le sue attività e alla fine dell’assedio presenta alcune importanti esposizioni nella ‘scatola bianca’. Questo progetto si conclude nel 1998-’99 per mancanza di fondi, ma nel 1996 arriva da Parigi Dunja Blazevic, la nuova direttrice del Centro per l’Arte Contemporanea (SCCA) finanziato dalla Fondazione Soros. “Sono nata a Zagabria, ho sempre vissuto a Belgrado e durante la guerra mi sono rifugiata a Parigi – racconta Dunja Blazevic - nel 1996 Sarajevo era l’unica città in cui mi sembrava giusto vivere. Qui ho cercato di supportare artisti emergenti quali Nebojsa Seric – Shoba [autore di Let There Be Light] o Sejla Kameric [autrice del provocatorio progetto Bosnian Girl] e ho dato molto spazio alle artiste che hanno saputo trasformare con creatività le terribili esperienze che hanno vissuto. All’inizio ho portato l’arte in spazi aperti, all’esterno, fuori dalla scatola bianca degli spazi espositivi. Così è nata l’iniziativa Meeting Point nel quartiere di Bascarcija e le iniziative De/Construction of Monument. Aiuto gli emergenti ma alcuni artisti preferiscono muoversi autonomamente”.

Ma passiamo alla diretta voce degli artisti. “Sono un sarajevese croato – ci racconta Andrej Djerkovic, 34 anni, quattro nazionalità e una mente brillante, è uno degli artisti più rappresentativi della scena sarajevese contemporanea – e durante l’assedio sono rimasto qui, il mio palazzo era nella periferia, proprio sulla linea del fronte, per quattro anni bosniaci serbi e croati hanno sparato addosso alla mia casa, quello mi ha dato un’idea del peso di alcune parole e ho sviluppato degli anticorpi naturali contro ogni forma di propaganda. Non ho potuto salutare mio padre prima che morisse: ci parlavamo attraverso i container, lui non poteva entrare in città per via della sua ‘etnia’. Su questo aspetto della mancanza di contatto ho lavorato con le madri di Srebrenica [Missing] e ho creato dei progetti artistici sempre con loro in occasione degli anniversari del massacro [sigarette Drina – To Forget Kills]. I miei lavori sono stati esposti in varie città europee, come Anversa, Amsterdam, Barcellona, Berna, Ginevra, Istanbul, Firenze, La Spezia ma mi piace ricordare quelle in ‘spazi divisi’, come Belfast, Gaza, o il Kurdistan. Non faccio nulla di complicato, mostro solo la realtà da un altro punto di vista”.

Anur ha la stessa età di Andrej Djerkovic ma la sua storia si divide da quella del suo amico nel 1992. Il pubblicitario e artista, ateo con nome musulmano, decide di andare via dalla città assediata e trova rifugio a Milano, dove studia e lavora. Nelle sue opere, un ibrido tra arte (art) e pubblicità (advertising) che definisce artvertising, Anur fa un’analisi spietata della società ‘occidentale’, delle sue manie e ossessioni, il suo sguardo critico si posa sulla condizione umana - titolo tra l’altro di una sua esibizione e di un progetto di azioni artistiche nei supermercati e nei centri commerciali.

Tra i suoi lavori Tranquility, un rosario di prozac – perché cerchiamo sostituti artificiali alla mancanza di valori spirituali – o Persone/Amami dolcemente, due polli da forno in una posizione che suggerisce un atto sessuale perché ‘le vite delle persone nelle società occidentali somigliano a quelle dei polli all’ingrasso che vivono sotto un sole artificiale, ognuno nella propria cella, separati gli uni dagli altri, spendendo inconsciamente l’intera vita nel tentativo di diventare il miglior prodotto possibile per il mercato’. Quella che si trova a Sarajevo, insomma, è un’arte attenta alla politica e alla società, in cui l’artista riprende la veste del giullare che può giocare con le falsità dei potenti a patto di strappare un sorriso o un applauso.

Appuntamento per tutti a Sarajevo, dunque. Quando? In occasione della Sarajevska Zima, festival ricchissimo di proposte e di opportunità per artisti emergenti e affermati, che si svolgerà tra febbraio e marzo 2006.

Valentina Cosimati
Pubblicato su Exibart_onpaper n.27, anno quarto, dicembre 2005-gennaio 2006

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