13.8.01

 

Intervista con Carolyn Carlson

La danza, poesia invisibile

Il contesto

Ero andata a Palermo con un videomaker toscano conosciuto al Riccione TTV per realizzare un video su Mimmo Cuticchio (pupi e cunto). La prima sera, dopo un estenuante viaggio in treno, i nostri gentili ospiti mi hanno segnalato a cena che Carolyn Carlson stava presentando uno spettacolo allo Spasimo: mi sono alzata di scatto da tavola e ho cominciato a camminare velocemente seguendo le poche indicazioni che mi avevano dato. Sono arrivata a spettacolo già finito, ma lei era lì vestita completamente di bianco (io di nero). Siamo rimaste qualche secondo a guardarci negli occhi. Non so se il mio conoscente/amico abbia o meno girato il video, io ho seguito tutte le prove e le repliche dello spettacolo e l’ho intervistata.
In seguito l’ho incontrata altre volte in varie vesti ma quest’intervista mi fa rivivere l’emozione di quel momento.


Intervista a Carolyn Carlson

Carolyn Carlson, danzatrice, coreografa, regista, statunitense di origine finlandese è una delle massime creatrici di teatro-danza. È attualmente responsabile del settore Danza della Biennale di Venezia e animatrice del progetto Isola Danza. Per la Biennale ha prodotto nel 2000 Light Bringers - l'Araba fenice, con Philip Glass e nel 2001 J. Beuys Song, con Giovanni Sollima.
I suoi spettacoli sono spesso frutto di collaborazioni eccellenti, quali appunto quelle con Philip Glass, Larrio Ekson, John Davis, e sono una efficace sinergia tra essenzialità formale e comunicazione emozionale. Nei suoi lavori è molto interessante rilevare il continuo riferimento alla natura e alla sacralità del gesto.
In questa intervista vengono messe in luce le idee fondanti del suo fare e sentire il teatro, dal leit motiv nel teatro-danza della non neutralità dello spazio all'utilizzo di simboli archetipici sia nella costruzione degli spettacoli, sia nelle altre forme di creazione artistica che per lei si fondono in un'unica forma di espressione.
Carolyn Carlson è stata una delle migliori danzatrici della compagnia di Alwin Nikolais[1] grazie alle sue capacità di controllo pressoché assoluto del movimento. La tecnica per lei costituisce però un mezzo non primario per raggiungere una comunicazione col pubblico e per la trasformazione delle emozioni. Evidenzia che il teatro contemporaneo sembra aver perso l’essenza stessa del teatro, l’essere rito partecipativo, ossia luogo da utilizzare, in cui sia possibile un’interazione costante tra il pubblico e la scena. La Carlson è anche molto attenta all’evocazione di immagini e simboli, sia nella costruzione che nella realizzazione di spettacoli. Il disegno è un momento importante della sua attività artistica e considera lo spettacolo come un momento del disegno e viceversa. I riferimenti alla danza, nelle sue varie espressioni, sono utilizzati come materiale, insieme alle suggestioni visuali, sensoriali, artistiche e commerciali.

La natura. Il sacro.

DOMANDA: L’uso degli elementi naturali e del sacro è una costante del suo lavoro…

CAROLYN CARLSON: Nel mio lavoro ho sempre utilizzato gli elementi della Natura, perché ritengo che sia importante che l’Umanità torni alla memoria della Natura, perché è la base di tutti noi, particolarmente quando vivi in una città.

Teatro come rito partecipativo.

D.: Stava dicendo che la partecipazione del pubblico al ‘rito teatrale’ rende il teatro una chiesa. Faceva riferimento al teatro elisabettiano e al teatro greco, archetipi del teatro come rito partecipativo, di un teatro in cui il pubblico non guardava soltanto ma partecipava attivamente…

C. C.: Questo è sempre stato il mio lavoro. Per me è importante che il pubblico provi delle sensazioni, delle emozioni. Si può trattare di trasformazioni mistiche o spirituali ma per me è importante che le persone sentano, percepiscano qualcosa, un’energia … una magia, le sensazioni. Per me è importante che le persone vengano toccate, trasformate (‘moved’). Cerco di unire l’aspetto visuale e quello comunicativo. Ma proprio questo è il problema con molti giovani coreografi e danzatori: loro danzano per se stessi, danzano senza comunicare. Io penso che sia importante comunicare, un messaggio o qualsiasi altra cosa. Per questo ritengo che il teatro greco sia così interessante. Le persone andavano a teatro alle cinque di mattina, si portavano il pranzo, mangiavano, partecipavano attivamente all’azione

Nikolais. Lo spazio.

D.: Lei è stata allieva del maestro Nikolais, mi pare che lei abbia preso da lui la capacità di utilizzare completamente lo spazio ma vuole anche che il danzatore provi delle emozioni molto forti così da poterle trasmettere al pubblico…

C. C.: In America è considerato il padre dell’arte psichedelica. Nikolais curava le luci, la musica i costumi, le coreografie, si occupava di tutto. Nikolais è la purezza della forma, io credo che lui ricevesse delle emozioni ma noi non ne ricevevamo, c’era solo la forma, l’abstraction visuelle Tra me e Nikolais c’è stata una ‘separazione’ ma io ho utilizzato molti dei suoi insegnamenti, combinandoli con le mie convinzioni. Per quanto riguarda lo spazio io credo che abbia una personalità con cui è importante relazionarsi: non esiste uno spazio neutro.

Disegni e poesie.

D.: Lei disegna e scrive poesie quando crea le coreografie e durante le improvvisazioni. Che tipo di rapporto c’è tra le sue poesie, i disegni e le coreografie?

C. C.: Sono diverse espressioni di uno stesso sentire, non c’è alcuna separazione, perché se sei nella classe e fai un gesto circolare può esserci poesia in quel gesto, quel gesto può essere poesia

D.: Una poesia del movimento, quindi…

C. C.: Sì. Io non racconto mai una storia, esprimo più il sentimento poetico

Trasformazioni.

D.: Peter Brook ha parlato, in una conferenza di ‘trasformazione dello spettatore’. Per lei è importante produrre una trasformazione nello spettatore o mandare un messaggio?

C. C.: È necessario, assolutamente. Intendo dire che è fondamentale aprire una porta all’immaginazione. Non è importante il messaggio. Se riesco ad aprire anche un solo spiraglio nella ‘porta dell’immaginazione’ di ogni spettatore, vuol dire che sono riuscita a trasformare qualcosa e questo è il mio lavoro. È interessante ciò che dice Brook perché se commuovi (to move) qualcuno, hai attuato una trasformazione ed è possibile trasformare qualsiasi cosa e allora vuol dire che è successo qualcosa, che qualcosa è cambiato, si è mosso.

Lo zen e la costruzione di uno spettacolo.

D.: Lei ha una fornitissima biblioteca sulle culture orientali e in particolare sulla dottrina Zen. In che modo il suo lavoro è stato influenzato dalle filosofie orientali?

C. C.: È difficile esprimerlo, la tecnica è importante ma ogni giorno devi pensare al momento presente e non scordare mai te stesso nel momento

D.: Come nasce uno spettacolo?

C. C.: Dipende, a volte vedo un disegno, me ne innamoro e mi fornisce lo spunto, a volte leggo un capolavoro di un grande scrittore e mi viene l’idea, spesso dalle liriche di Bob Dylan, che amo molto

La danza del futuro.

D.: Qual è un suo augurio alle nuove generazioni della danza, come vorrebbe vedere una nuova danza?

C. C.: La danza è uno spazio interiore e le giovani generazioni non sanno che cosa sia l’interiorità. Spero che la/il danzatrice/ore del futuro ponga al centro della sua attenzione e del suo lavoro la comunicazione. Per me la danza è una comunicazione impalpabile, invisibile. La danza è emozione, ma anche la trasformazione creativa dell’emozione. Se riusciamo a stimolare un’emozione bisogna imparare anche a gestire quell’emozione, a renderla un momento creativo e a trasmetterla al pubblico

NOTE
[1] Alwin Nikolais (1910-1993) “è il creatore di un mondo di magie formali, di un teatro costruito su effetti illusionistici sorprendenti, di un cosmo fatto di visioni che intendono trascendere ogni naturalismo: è il coreografo dell’illusione, della sorpresa, della fantasia caleidoscopica. È il coreografo della luce e del colore: il corpo è un’entità spersonalizzata […] una somma di linee che giocano con lo spazio. […] Contrappone al theatre of emotion […] tipicamente grahamiano un suo personale theatre of motion […], fondato su una concezione astrattamente cinetica e antipsicologistica della danza.”. Bentivoglio (1985: 137)


by Valentina Cosimati

Pubblicato sul numero 7-8/2001 della Rivista Europea Arti Terapie

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