15.9.06

 

Ferrario sulle orme di Levi

Al Toronto Film Festival il documentario del regista sul viaggio di ritorno da Auschwitz

Valentina Cosimati
Toronto

Alla trentunesima edizione del Film Festival di Toronto il cinema italiano mette in luce le grandi tematiche della contemporaneità. Dalla memoria dell’immigrazione nel sogno del Nuovomondo di Emanuele Crialese, in una emozionante prima nordamericana nella grande sala del teatro più prestigioso di Toronto, all’Udienza è aperta di Vincenzo Marra sulla malagiustizia che ha meravigliato non poco il pubblico canadese, o Come l’Ombra di Marina Spada, in concorso per il Premio Diesel della stampa internazionale. La stella che non c’è di Gianni Amelio e Il Caimano di Nanni Moretti sono presentati lo stesso giorno, durante la giornata di festa per il cinema italiano organizzata nella centralissima Stazione dell’Unione come augurio per una ripartenza del cinema italiano, un biglietto di treno per un lungo viaggio.

Un viaggio che parte con una tregua, quella de La strada di Levi, documentario in cui Davide Ferrario ripercorre sulle note di Daniele Sepe le orme di Primo Levi in un’Europa che è esistita solo nella “tregua”, tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda.

«La strada di Levi - ci racconta il regista - è nato da un’idea di Marco Belpoliti; conoscendo i miei film on the road ha pensato fossi la persona adatta per mettere in immagini il suo sogno nel cassetto di ripercorrere le orme di Levi, un sogno che gli è nato curando le opere di Primo Levi per Einaudi».

Una tregua, un viaggio di conoscenza, quello che lei ha voluto compiere sulle orme di Levi?

Il viaggio è per definizione un momento di conoscenza. In questo caso l’urgenza della conoscenza di paesi come la Polonia di Giovanni Paolo II, l’Ucraina dei fondamentalisti, dell’identità negata e di Chernobyl o la “vecchia nuova Europa” di Ungheria, Slovacchia, Austria, è determinata anche dal processo di post-riunificazione dei due blocchi. Questo è un viaggio che mette in luce le contraddizioni e non si ferma alla banalità dell’apparenza.

Nel suo lavoro ci sono molti riferimenti all’identità, proprio mentre l’Europa sta rimettendo in discussione il concetto stesso di identità.

L’identità può essere un fattore di ricchezza oppure di scontro. L’identità culturale nei paesi europei ha una lunga storia. Io non do giudizi, però come in una notazione di viaggio, non posso non accorgermi che il sogno tecnologico si è trasformato in un incubo a Chernobyl, o che qualunque idea apparentemente positiva può trasformarsi poi in un incubo. In Ucraina il mantenimento dell’identità culturale in musica è una scusa per la rinascita di idee naziste e nazionaliste. Ci siamo messi nei panni di Primo Levi in questo viaggio e con la leggerezza che contraddistingue le sue parole, abbiamo cercato di parlare di grosse cose sotto forma di notazioni di viaggio.

La forma documentario qui a Toronto trova un terreno fertile di discussione, Michael Moore viene e discute con il pubblico cosa andrà a mostrare nei suoi prossimi lavori. Che riflessioni le suscita?

Toronto è un posto incredibile, ci sono persone di tutte le culture, un pubblico molto vivace, non mi sorprende che Moore venga qui a discutere i suoi film. Ma il “documentario a tesi”, tipico del suo lavoro, non fa parte della tradizione del cinema italiano. In Italia c’è un bel vivaio di documentaristi, con una grande consapevolezza visiva e l’attenzione alla costruzione di nuovi linguaggi. Michael Moore è molto bravo ma gli manca la capacità di narrare una storia con una ricercatezza di immagini e un senso dell’umorismo che è abbastanza presente in Italia. Io tendo a presentare delle cose per cui non do al pubblico quello che si aspetta di sentire, cerco di stimolare la creatività nell’elaborazione critica delle immagini e delle idee.

Da come lo descrive, il cinema italiano sembra in buona salute, almeno nelle sue riflessioni.

Le difficoltà sono moltissime ma non si può negare che abbiamo i registi, la capacità di raccontare, le storie e un movimento di idee e pensieri abbastanza particolare. Non abbiamo uno star system, ma senza dubbio ci sono tutti gli ingredienti per una grande presenza italiana nel mondo cinematografico.

by Valentina Cosimati
published on Liberazione del 15 settembre 2006

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