9.5.07

 

Delbono all'Opera per amore di Zappa


Il regista italiano aprirà la stagione sperimentale di Spoleto. E in attesa del "family day" esalta la forza della diversità.


Abbiamo incontrato Pippo DelBono, il regista e performer italiano che ha saputo attraversare tutti i terreni dell’arte performativa coniugando impegno sociale e senso della poesia pasoliniana. Ha fatto della ribellione e dell’incontro con ‘fiori diversi’ la sua bandiera, lavorando con attori down e in zone di confine, sempre alla ricerca della meraviglia di nuove esperienze. Il suo lungo percorso è iniziato in Danimarca, con il Gruppo Farfa diretto dalla performer dell’Odin Teatret Iben Nagel Rasmussen, che lo ha introdotto al teatro orientale. La coreografa simbolo del tanztheater tedesco, Pina Bausch, lo ha invitato giovanissimo a Wuppertal dopo aver visto un suo spettacolo e lo ha poi incoraggiato a proseguire per la sua strada, riconoscendo in lui un ‘creatore’. Ora è approdato all’opera lirica con Obra Maestra, lavoro di Giovanni Mancuso su Frank Zappa per il Teatro Sperimentale di Spoleto, presentato ieri a Roma. “Avevo molti pregiudizi sul teatro d’opera, che per me rappresentava un mondo cementificato, fatto di ruoli e divisioni quasi burocratiche. Per me l’arte implica un rapporto profondo con gli artisti e quando mi hanno proposto questa idea, lasciandomi la mia libertà di autore, ero un po’ perplesso”.

Cosa ti ha convinto alla fine a cedere e a debuttare nell'opera?

Mi è sembrato interessante avere la possibilità di agire come autore in un’opera lirica e sicuramente il tema mi è molto caro. Frank Zappa è stato un grande rivoluzionario, non solo sul piano artistico ma anche politico. Riconosceva una malattia di un finto benessere, di una finta libertà e mi ricorda molto il Pasolini del PCI ai giovani. Zappa era un personaggio di grande lucidità politica, toccava il tema della sessualità con provocazione e oggi il suo messaggio mi sembra particolarmente attuale.

Già, siamo in tempi di "family day"...

Quest’idea della famiglia ritrovata è assurda. È importante che l’individuo ritrovi la propria libertà. Ridare dignità a ogni singolo essere umano e stare vicino alle persone nelle loro diversità, questo è un valore. Se le persone dello stesso sesso si amano, quello è un altro modo di essere famiglia. La libertà dell’individuo fa paura. Oggi c’è la necessità di togliere la possibilità di volare, ma noi dobbiamo dare valore all’individuo non ai nuclei.

La manifestazione per la famiglia del 12 maggio cade in concomitanza con l’anniversario della vittoria del referendum sul divorzio, una coincidenza?

Niente viene a caso. Si vuole propinare come valore una falsa morale rassicurante, che però non esiste più in questa società. In Urlo dico ‘grazie a quel prete che un giorno mi disse abbiamo bisogno dei genitori cattivi’. C’è bisogno di ribellione oggi. La ribellione è importante anche perché così si può trovare la propria identità di libertà. Credo che la sofferenza maggiore dell’individuo non risieda nel non conformarsi a delle regole imposte ma nel non sapere amare fiori diversi.

Oggi si ha molta paura del diverso in senso lato, dello ‘straniero’ che non è più solo turista ma parte integrante del tessuto urbano e sociale. La cultura può avere una funzione in un percorso di conoscenza e accettazione dell’altro?

La diversità inizia dalla persona che ha gli occhi e i capelli diversi dai tuoi. Dovremmo scoprire il piacere che nella diversità esiste una possibilità di crescita, ma spesso prendiamo l’incontro come un’opposizione. L’incontro tra diversità è sicuramente una parte integrante del mio lavoro, sia esso tra palestinesi e israeliani di fronte alla poesia che sa abbattere i muri costruiti dagli uomini, sia quello con persone affette da gravi patologie. Non amo le categorie, posso dire che ho trovato degli artisti straordinari in situazioni difficili, come ad esempio i bambini down che sono entrati come degli angeli nella nostra compagnia. Avere l’opportunità di portare il sorriso di un bambino down in palcoscenico, quella poesia che solo loro hanno, è un primo passo verso l’allenamento culturale a guardare il mondo da angolazioni differenti.

by Valentina Cosimati
published on Liberazione del 9 maggio 2007

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