31.10.08
Corte Penale Internazionale: Kirsch all'ONU
Polemiche. Il presidente Kirsch all'Onu: serve una nuova spinta
Ma a che serve L'Aja?
Troppo forte l'ostilità degli Stati alla Corte.
Ecco i casi su cui indaga oggi l'ICC
Un grido di dolore per il Continente nero e per avere le mani legate. Lo ha lanciato ieri, a dieci anni dalla sua adozione e a sei dalla sua entrata in vigore, il Presidente della Corte Penale Internazionale, il giudice canadese Philippe Kirsch, che ha fatto il punto della situazione presentando il quarto rapporto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un lento ma stabile percorso è quello che prevede il Presidente Kirsch, che ha ricordato anche il forte legame con l’ONU nel 60mo anniversario della Convenzione sul Genocidio e della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, pur ribadendo l’autonomia dei due organismi internazionali. Lungaggini nei processi, importanza della partecipazione – spesso scarsa – delle vittime nei procedimenti e soprattutto la necessità di rafforzare la cooperazione con le Nazioni Unite, in particolare per quanto riguarda le ratifiche dello Statuto, e l’azione diplomatica con i vari governi per garantire l’effettiva azione della Corte.
Questi i punti principali del discorso di ieri del giudice Kirsch all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. “In primo luogo – ha affermato – la ratifica dello Statuto di Roma inciderà in modo determinante nell’esercizio effettivo della giurisdizione della Corte”. Affinché si possa parlare veramente di una Corte mondiale “e la sua azione possa essere veramente globale, è necessario – ha sottolineato il giudice canadese - che vi sia una ratifica universale” dello Statuto. Il Presidente Kirsch ha insomma rilanciato l’azione dei governi e della società civile, che tanti sforzi ha compiuto per la realizzazione di quella che sembrava a molti una vera a propria utopia. Gli stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma al momento sono 108, quindi quasi il doppio del necessario per l’entrata in vigore dello Statuto, ma rimangono i grandi assenti: ovvero i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Cina, Russia e Stati Uniti. Altri grandi assenti sono la stragrande maggioranza dei Paesi arabi, Israele, molti paesi Asiatici e alcuni paesi africani, tra cui il Sudan in cui sono attualmente in corso delle indagini. Il rilancio di una campagna di ratifica dello Statuto di Roma sembra al Presidente Kirsch una conditio sine qua non per garantire l’esistenza e il corretto funzionamento della Corte, che al momento non sta certamente lavorando a pieno ritmo. I processi vanno a rilento, ha spiegato, e uno dei problemi fondamentali è la impossibilità della Corte di spiccare e far rispettare i mandati di arresto. “La Corte continuerà a richiedere la cooperazione degli Stati, delle organizzazioni internazionali e della società civile. Gli obblighi legali di cooperazione devono essere rispettati e uno sforzo ulteriore sarà necessario. È più che ovvio – ha proseguito Kirsch nel suo discorso all’Assemblea Generale – che gli Stati devono eseguire i mandati di arresto o sostenere l’azione affinché tali mandati siano resi effettivi in base allo Statuto di Roma e ai loro obblighi internazionali”.
Una delle preoccupazioni maggiori del Presidente della CPI è la protezione delle vittime, che per la prima volta nel diritto penale internazionale, sono al centro del dibattimento e dell’azione legale. Le vittime di crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra possono costituirsi parte lesa nei processi, a differenza dei tribunali ad hoc, e chiedere un risarcimento che viene generalmente amministrato da un Trust Fund. In altre parole se non c’è pace senza giustizia, non c’è neanche pace senza riconciliazione e un forte lavoro nei territori interessati dall’azione della Corte per ridare alle vittime dignità e un sostegno concreto. Azione che ovviamente deve essere portata avanti di concerto con le Agenzie internazionali. “La creazione della CPI nel 1998 –ha affermato Kirsch – era fondata sul principio e sulla convinzione che giustizia e pace sono complementari. Il mandato della Corte e la sua indipendenza devono pertanto essere riaffermati e rispettati, in particolare quando le circostanze appaiono complesse”.
Il Presidente ha inoltre ricordato che “alcune affermazioni o il silenzio (degli Stati, ndr) possono generare delle convinzioni errate, e far dimenticare il ruolo di organo puramente giudiziario della Corte”. Lasciando da parte le polemiche, che sembrano anche interne, Philippe Kirsch ha ribadito l’importanza del rapporto con l’ONU chiedendone un rafforzamento e ha messo in luce che “nel decimo anniversario dello Statuto di Roma celebriamo anche l’adozione di due testi fondamentali per la legalità e il diritto: la Convenzione sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio e la Dichiarazione universale dei diritti umani”.
UGANDA DEL NORD
Valentina Cosimati
Liberal, 31 ottobre 2008
Questi i punti principali del discorso di ieri del giudice Kirsch all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. “In primo luogo – ha affermato – la ratifica dello Statuto di Roma inciderà in modo determinante nell’esercizio effettivo della giurisdizione della Corte”. Affinché si possa parlare veramente di una Corte mondiale “e la sua azione possa essere veramente globale, è necessario – ha sottolineato il giudice canadese - che vi sia una ratifica universale” dello Statuto. Il Presidente Kirsch ha insomma rilanciato l’azione dei governi e della società civile, che tanti sforzi ha compiuto per la realizzazione di quella che sembrava a molti una vera a propria utopia. Gli stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma al momento sono 108, quindi quasi il doppio del necessario per l’entrata in vigore dello Statuto, ma rimangono i grandi assenti: ovvero i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Cina, Russia e Stati Uniti. Altri grandi assenti sono la stragrande maggioranza dei Paesi arabi, Israele, molti paesi Asiatici e alcuni paesi africani, tra cui il Sudan in cui sono attualmente in corso delle indagini. Il rilancio di una campagna di ratifica dello Statuto di Roma sembra al Presidente Kirsch una conditio sine qua non per garantire l’esistenza e il corretto funzionamento della Corte, che al momento non sta certamente lavorando a pieno ritmo. I processi vanno a rilento, ha spiegato, e uno dei problemi fondamentali è la impossibilità della Corte di spiccare e far rispettare i mandati di arresto. “La Corte continuerà a richiedere la cooperazione degli Stati, delle organizzazioni internazionali e della società civile. Gli obblighi legali di cooperazione devono essere rispettati e uno sforzo ulteriore sarà necessario. È più che ovvio – ha proseguito Kirsch nel suo discorso all’Assemblea Generale – che gli Stati devono eseguire i mandati di arresto o sostenere l’azione affinché tali mandati siano resi effettivi in base allo Statuto di Roma e ai loro obblighi internazionali”.
Una delle preoccupazioni maggiori del Presidente della CPI è la protezione delle vittime, che per la prima volta nel diritto penale internazionale, sono al centro del dibattimento e dell’azione legale. Le vittime di crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra possono costituirsi parte lesa nei processi, a differenza dei tribunali ad hoc, e chiedere un risarcimento che viene generalmente amministrato da un Trust Fund. In altre parole se non c’è pace senza giustizia, non c’è neanche pace senza riconciliazione e un forte lavoro nei territori interessati dall’azione della Corte per ridare alle vittime dignità e un sostegno concreto. Azione che ovviamente deve essere portata avanti di concerto con le Agenzie internazionali. “La creazione della CPI nel 1998 –ha affermato Kirsch – era fondata sul principio e sulla convinzione che giustizia e pace sono complementari. Il mandato della Corte e la sua indipendenza devono pertanto essere riaffermati e rispettati, in particolare quando le circostanze appaiono complesse”.
Il Presidente ha inoltre ricordato che “alcune affermazioni o il silenzio (degli Stati, ndr) possono generare delle convinzioni errate, e far dimenticare il ruolo di organo puramente giudiziario della Corte”. Lasciando da parte le polemiche, che sembrano anche interne, Philippe Kirsch ha ribadito l’importanza del rapporto con l’ONU chiedendone un rafforzamento e ha messo in luce che “nel decimo anniversario dello Statuto di Roma celebriamo anche l’adozione di due testi fondamentali per la legalità e il diritto: la Convenzione sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio e la Dichiarazione universale dei diritti umani”.
I CASI
REPUBBLICA CENTRAFRICANAIndagini cominciate il 22 maggio 2007, in seguito a segnalazione ufficiale (referral) da parte dello Stato Parte il 22 Dicembre 2004. Il 23 maggio 2008 la Terza Camera preliminare ha spiccato il mandato di arresto nei confronti di Jen-Pierre Bemba Gombo, che è stato arrestato dalle autorità belghe il 10 giugno 2008. Bemba è accusato di aver commesso crimini contro l’umanità (due capi di imputazione, tra cui stupro e tortura) e crimini di guerra (quattro capi di imputazione). L’imputato è accusato di essere stato il capo del Mouvement de libération du Congo (MLC) che, durante il conflitto tra il 25 ottobre 2002 e il 15 marzo 2003, si è macchiato di crimini contro la popolazione civile.
In particolare la Corte Preliminare ha concluso che Bemba potrebbe essere responsabile dei crimini commessi nella regione in quanto era de facto e de jure a capo delle milizie accusate di aver stuprato donne e bambini, ucciso civili, dato alle fiamme abitazioni e commesso ogni genere di atrocità nei confronti della popolazione inerme.
Il 4 novembre prossimo Bemba apparirà per la conferma delle accuse di fronte alla Terza Camera preliminare e il processo potrà avere inizio. L’indagine si è focalizzata sul periodo 2002-2003 ma il Procuratore Capo sta al momento indagando anche sui presunti crimini commessi a partire dalla fine del 2005.
Le violenze contro i civili, si legge nel documento presentato alle Nazioni Unite, "Sono state pianificate e perpetrate in maniera sistematica dal Movimento". Le indagini sono ancora in corso.
UGANDA DEL NORD
Indagine cominciata il 29 luglio 2004 in seguito a segnalazione ufficiale (referral) da parte del governo dell’Uganda del gennaio dello stesso anno. Il 14 ottobre 2005 vengono spiccati i mandati di arresto per Joseph Kony, Vincent Otti, Okot Odhiambo, Dominic Ongwen, e Raska Lukwiya, considerati i capi del Lord’s Resistance Army (LRA). Dopo l’annuncio, successivamente smentito, della morte di Dominic Ongwen, la CPI ha constatato la morte di Raska Lukwiya e sta verificando l’effettivo decesso di Vincent Otti. Il Procuratore Capo ha annunciato alla Camera preliminare che oltre alla battaglia contro i presunti criminali, in questo caso la Corte dell'Aja "deve confrontarsi con il Fato". La Seconda Camera Preliminare monitora costantemente la situazione dei mandati di arresto che sono stati spiccati in Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Sudan. La pressoché assenta azione giudiziaria però è compensata da un’intensa azione investigativa.
Il Procuratore Capo continua le indagini a carico dei capi del LRA, in particolare con l’inasprirsi della situazione nella regione, dopo l’occupazione del Parco Nazionale di Garamba e i continui attacchi alla popolazione civile. Il Lord’s Resistance Army sta allargando le proprie operazioni anche nelle circostanti Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Sudan. Attualmente, però, si devono fare i conti con la mancanza di un qualunque arresto di peso nei confronti dei ribelli, nonostante una "soddisfacente" cooperazione da parte del governo e delle altre organizzazioni coinvolte.
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
Casi della Repubblica Democratica del Congo – Le indagini sono iniziate il 23 giugno del 2004 in seguito alle segnalazioni ufficiali (referral) dallo Stato Parte del 19 giugno dello stesso anno. Processo a Thomas Lubanga Dyilo, presunto capo dell’Union des Patriotes Congolais pour la Reconciliation et la Paix e comandante in capo del braccio armato delle milizie; accusato di crimini contro l’umanità e di aver utilizzato bambini al di sotto dei 15 anni come soldati. Il procedimento è attualmente fermo e Lubanga detenuto in attesa di processo perché non si è rischiato di non poter celebrare un giusto processo, in quanto il Procuratore Capo non ha rivelato delle informazioni che avrebbero potuto essere di utilità alla difesa per la discolpa dell’accusato. Processo congiunto a Germain Katanga e Mathieu Ngudjolo Chui la camera preliminare ha confermato le accuse di crimini contro l’umanità , tra cui omicidio, riduzione in schiavitù sessuale nel villaggio di Bogoro e nella regione dell’Ituri.
Non ancora cominciato il processo contro Bosco Ntaganda anche conosciuto come Terminator, accusato di crimini di guerra ai danni di bambini al di sotto dei 15 anni: mandato di arresto confermato e reso pubblico, il processo non è ancora cominciato. Nel frattempo la Corte sta decidendo come operare per il prossimo futuro e quali casi prendere in considerazione. Come sempre, recita il rapporto di ieri, "si prenderanno in maggiore considerazione i casi che riguardano le violenze contro la popolazione. Abbiamo intenzione di prendere i responsabili di questi crimini".DARFUR (SUDAN)
La situazione in Darfur è stata segnalata all’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la Risoluzione 1593 (2005) del 31 marzo 2005 passata con undici voti e quattro astensioni , tra cui Cina e Stati Uniti, che hanno rinunciato ad esercitare il diritto di veto. La referral del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato il frutto di un grande lavoro diplomatico e rappresenta il primo atto ufficiale da parte dell’ONU nei confronti della Corte. IL 25 aprile 2007 la Prima Camera Preliminare ha spiccato il mandato di arresto nei confronti di Ahmad Muhammad Harun e Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman (“Ali Kushayb”). Il Procuratore Capo ha richiesto di spiccare il mandato di arresto nei confronti del presidente sudanese Omar Hassan Ahmad Al-Bashir, sospettato di essere responsabile di crimini contro l’umanità, genocidio, e crimini di guerra.
Nel 2006 la Camera preliminare ha chiesto delle relazioni e pareri all’Alto Commissario per i Diritti Umani, Louise Arbour (ex procuratore capo del Tribunale Penale per la ex Jugoslavia) e ad Antonio Cassese, a capo della Commissione internazionale per le indagini in Darfur, Sudan ed ex presidente del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia. Con la decisione della Corte Preliminare del 15 ottobre 2008 si è di fatto congelato il processo, in attesa di ulteriori prove a carico da parte dell’Ufficio del Procuratore.
Valentina Cosimati
Liberal, 31 ottobre 2008