7.11.06
Amore gay per sfuggire alla pulizia etnica
Parla il regista jugoslavo Ahmed Imamovic, in questi giorni ospite al MedFilmfest di Roma con il suo film “Go west”
Valentina Cosimati
La dodicesima edizione del MedFilmFestival, (inaugurata domenica a Roma, fino al 19 novembre), offre uno spunto importante di riflessione sull’importanza della cooperazione e dello scambio tra i paesi dell’area Euro-mediterranea nella creazione di società in cui il dialogo tra culture sia alla base dei processi di costruzione della pace.
Questa festa luminosa di idee e immagini si presenta quale momento di incontro e di confronto, per sfatare alcuni dei pregiudizi che a volte impediscono un dialogo costruttivo e per conoscere modi diversi di intendere la convivenza pacifica.
Ne parliamo con Ahmed Imamovic, regista sarajevese di Go West, un film che ha decisamente sfidato i conformismi e ha scatenato reazioni contrastanti, incluse minacce di morte da parte dei fondamentalisti. Coprodotto da Jeanne Moreau e ambientato a Sarajevo in tempo di guerra, è la storia di un amore omosessuale, uno dei grandi tabù della società balcanica.
Attraverso le peripezie dei due Romeo - un serbo, che parte come soldato, e un musulmano, che si traveste da donna per scampare alla pulizia etnica - il trentacinquenne regista che si definisce europeo di origini musulmane, ci mostra una guerra in cui l’isolamento ha reso folli gli uomini. «La cultura di Sarajevo - racconta a Liberazione Ahmed Imamovic - è quella di una tradizione di dialogo tra le persone. Questa è una caratteristica tipica dei Paesi del Mediterraneo di cui secondo me la Bosnia Erzegovina è parte integrante».
Un dialogo però di cui si è cercato di eliminare ogni traccia durante la guerra degli anni ’90 con lacerazioni all’interno delle famiglie. Come si può parlare di convivenza pacifica ora?
Il film trae spunto proprio da questo. Durante l’assedio intere famiglie miste si sono sfasciate e la politica è entrata nelle case delle persone con risultati devastanti. Nel film spiego come per una famiglia nei Balcani un criminale di guerra sia sicuramente più accettato di un gay. La realtà è questa purtroppo. Ho provato ad immaginare che tipo di frizioni si sarebbero potute creare all’interno di una coppia omosessuale, ed è sempre il rapporto tra le persone che in qualche modo vince sui pregiudizi e sulla violenza di divisioni imposte.
In che modo questo dialogo fa parte della cultura del Mediterraneo?
Se penso al Mediterraneo e all’Europa non posso non cogliere dei tratti comuni nella vita quotidiana. C’è un atteggiamento e un modo di vivere che è simile nei vari paesi, che nasce da un intreccio millenario di tradizioni e che se vai a scavare si risolve in un modo di vivere. Per secoli il Mediterraneo è stato un luogo di scambio e le persone ne hanno appreso una pratica di convivenza. In tutti i paesi dell’area Euro-mediterranea esiste una comunicazione costante. Se mi siedo in un caffè con una persona che non conosco, dopo dieci minuti cominceremo sicuramente a parlare, non importa in quale lingua, questa per me è la base per una convivenza civile. C’è una curiosità di fondo e un interesse nella vita delle altre persone.
Le vite di due persone a Roma e Sarajevo sono al centro di “Dieci minuti”, il cortometraggio da lei diretto che proprio qui in Italia ha ricevuto il Premio dell’Accademia del Cinema Europeo nel 2002. Qual è il suo legame con Roma e con il nostro paese?
Durante l’assedio il porto di Ancona era il punto di collegamento tra la guerra e la pace. Quando si approdava in Italia non si doveva più aver paura di essere presi di mira da un cecchino. Sono venuto a Roma più volte e per me questa città ha sempre avuto il sapore indescrivibile della libertà.
Il dibattito sull’inclusione della cultura islamica in Europa è ancora un nodo spinoso, secondo te è possibile una convivenza pacifica tra culture differenti o si tratta di un’utopia?
Le chiusure dell’Europa nei confronti dell’Islam sono frutto di una scarsa conoscenza e mi sorprendono un po’ perché ai miei occhi la società europea contemporanea è decisamente multietnica. La mia vita è uguale a quella di tanti miei amici ma se viaggio con loro e c’è un controllo in frontiera sicuramente sarò l’unico che verrà trattenuto per ore senza tante spiegazioni. Questo è uno degli elementi chiave del mio film. L’amore omosessuale è un modo per parlare di questa necessità e possibilità di superare i pregiudizi, siano essi di orientamento sessuale, religioso o politico.
by Valentina Cosimati
pubblicato su Liberazione del 7 novembre 2006
Etichette: articles