19.9.06
Toronto, passano i contestatori di Bush
Al Film festival canadese il premio va al britannico Gabriel Range per “Death of a President”, un documentario fantapolitico sull’assassinio del presidente Usa. Vince anche Barbara Kopple. Michael Moore, ospite applaudito, ha parlato dei suoi due nuovi film
Valentina Cosimati
Toronto
C’è un dato chiaro che si evince dalla trentunesima edizione del Toronto Film Festival, e cioè che ad imporsi e ad ottenere i riconoscimenti della critica sono stati i film anti-Bush, facendo della manifestazione cinematografica un festival dalla chiara impronta politica. Il premio della critica è andato a Death of a President documentario fantapolitico del britannico Gabriel Range che mette in scena l’assassinio di George W. Bush, nell’ottobre 2007, per mano di un siriano, nel corso di manifestazioni contro la guerra in Iraq. La motivazione ufficiale per l’assegnazione del premio è stata la seguente: «L’audacia con cui il film distorce la realtà per raccontare una verità più grande».
Altro riconoscimento è andato al documentario Dixie Chicks: shut up and sing di Barbara Kopple, che racconta del trio femminile country boicottato da alcune radio americane per aver contestato la politica di Bush e la guerra in Iraq; scelte, queste del Festival, che hanno naturalmente suscitato le polemiche e le critiche della stampa americana, come quelle del Chicago Tribune che ha scritto: «Migliaia di persone hanno invaso Toronto per dieci giorni di cinema che si sono trasformati in un dibattito continuo sul terrorismo, sull’occupazione in Iraq, su globali prospettive. Sono venuti tutti per vedere film e si sono trovati al centro di una sorta di comizio “work in progress”...».
Ma obiettivo della manifestazione era sicuramente quella di creare discussioni su problematiche ben precise, come spiega Piers Handling, direttore del Toronto Film Festival:
«Quest’anno il festival è stato molto forte e provocatorio. L’intenzione della nostra organizzazione è sempre quella di dare spazio a film che siano in grado di porre delle domande, e questa edizione ha mostrato ancora una volta che il cinema non è solo mero intrattenimento. Il vivacissimo pubblico di Toronto è di per sé una sfida particolarmente interessante, ma abbiamo saputo prendere il meglio del cinema “provocatorio” da tutto il mondo, per mostrarlo qui in Canada, il Nord America non Usa».
E in effetti le produzioni presentate sono delle vere e proprie denunce in pellicola; grandi temi quali l’immigrazione, la schiavitù, il Vietnam, la violazione dei diritti umani nel paese che più di ogni altro si spende per l’esportazione della democrazia a colpi di armi da fuoco e la lotta ai luoghi comuni con le armi della cultura e del dibattito, sono stati il cuore della manifestazione, che ha inoltre dedicato un’intera serata a Michael Moore “regista anti Bush” per eccellenza e vera star del Festival.
Moore ha parlato dei suoi prossimi due film, Sicko, dedicato al problema della malasanità americana (uno degli esempi della falsa democrazia statunitense, come ha sostenuto il regista) e The Great '04 Slacker Uprising vera e propria autopsia sulle elezioni presidenziali; il filmmaker americano ha offerto due brevi presentazioni in anteprima mondiale dei suoi nuovi lavori che, come i precedenti film-documentari, Fahrenheit 9/11 e Bowling for Columbine, affrontano il tema, a Moore molto caro, del fallimento del sogno americano.
Tra i lavori in mostra, il pubblico del festival ha scelto di premiare Bella, film romantico del giovane messicano Alejandro Gomez Monteverde, che racconta l’incontro a New York tra un cuoco e una cameriera: «E’ la storia di un’amicizia, di persone “vere” che vivono in una grande metropoli - spiega Ali Landry, neo moglie del regista - ma è soprattutto un momento di riflessione su quel che c’è di più importante nella vita, l’amore e la capacità di saper cogliere la bellezza anche nei momenti più difficili».
Ci racconta Alejandro Monteverde: «Volevo fare un film sulla gioia di vivere per lanciare un messaggio di amore che sappia andare oltre i pregiudizi. La cultura messicana e latina in generale è molto discriminata nel cinema, soprattutto quello hollywoodiano. Quando ero all’università e vedevo film in cui c’erano dei personaggi messicani o latini mi vergognavo della mia identità culturale: erano tutti personaggi negativi. Sicuramente c’è una parte di verità negli stereotipi ma la mia esperienza personale è diversa e volevo mostrare la mia realtà, e qui a Toronto ho trovato una grande attenzione, un pubblico che ha ascoltato con il cuore e che ha fatto diventare realtà un mio sogno».
A chiudere questa trentunesima edizione del Toronto Film Festival è stata la proiezione del film britannico sull’abolizione della schiavitù Amazing Grace del regista Michael Apted; un’edizione che ha ospitato dei momenti decisamente interessanti di discussione e dibattito sui grandi temi del presente con la leggerezza della narrazione e della documentazione cinematografica.
Published on Liberazione del 19 Settembre 2006
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